Il regista irlandese Tomm Moore ha diretto solamente tre film, eppure è una produzione già ampiamente sufficiente per iniziare a trattare il suo profilo come quello di un autore. Iniziamo dalla fine. L’ultimo lungometraggio concepito dalla sua stessa casa di produzione, la Cartoon Saloon, è disponibile dallo scorso dicembre sulla piattaforma Apple+. Si intitola Wolfwalkers e non solo è uno dei migliori titoli del 2020, ma anche uno dei lavori (non solo di animazione) più interessanti degli ultimi anni. Raccontando la storia di un’amicizia improbabile tra una cittadina inglese e una “selvaggia” irlandese, il film si presenta come una favola magica a cavallo tra mito e folklore, in grado di appagare l’immaginazione di chi guarda con immagini di rara potenza estetica e sequenze cinematografiche capaci di far vibrare le corde emotive tanto del pubblico infantile quanto di quello più adulto.

Riducendo all’osso la politica degli autori tanto cara alla critica francese degli anni Sessanta, il cinema di Tomm Moore si fa forte di un marchio di fabbrica formale e tematico. La cosa davvero sorprendente, e che rende la sua Cartoon Saloon uno degli esempi d’animazione più virtuosi di questa ultima decade, è che secondo Moore forma e contenuto non sono da scindere, anzi, la forma è contenuto. Il tratto del suo cinema è immediatamente riconoscibile. Il regista lavora anacronisticamente, porta indietro le lancette del tempo per guardare a un futuro che si fa sempre più presente. Rinunciando infatti all’utilizzo della CGI o di altre tecniche digitali che hanno segnato la storia dell’animazione nell’ultimo quarto di secolo (dal 1995, anno di uscita del primo Toy Story, sino a oggi), il suo stile si allontana anche dall’animazione tradizionale più mainstream per lavorare su linee e forme bidimensionali, fondali evocativi, luci e ombre nette a cavallo tra graphic novel ed espressionismo tedesco, per cercare di dare vita a quello che potremmo chiamare cinema d’illustrazione. Moore è decisamente più dalle parti di Ocelot e Mattotti che da quelle di Disney. Le sue tavole sono tattili, trasudano colore e diventano fotogrammi da contemplare come le miniature di un testo redatto da monaci amanuensi.

Non è quindi un caso che il suo film d’esordio, The Secret of Kells (2009) sia ambientato nel IX secolo e narri l’incontro di un ragazzino con un maestro miniatore. Le pagine all’interno del racconto prendono vita grazie al cinema di Moore. The Secret of Kells è così un film da sfogliare e dal quale lasciarsi accecare. Già in quel lavoro è evidente l’attenzione del regista verso storie che tematizzano la crescita, simboleggiata da un viaggio che costringe il giovanissimo protagonista ad allontanarsi dalla sicura ma asfissiante casa natale. Un modello che torna a piè paro nel secondo lungometraggio, La canzone del mare (2014) e, ovviamente, nel più recente Wolfwalkers. In tutti questi film, le lacune affettive di cui soffrono i personaggi li spingono a vincere le loro paure, a uscire dal loro confine (fisico e psicologico), a inseguire un richiamo irrazionale  (l’elemento magico tipico della tradizione orale che qui si intreccia a più riprese con l’elemento naturale). In una parola, li spingono a crescere.

Il limen che separa l’infanzia dall’adolescenza, il selvaggio dalla civiltà, i genitori dai figli, la tradizione dal presente è reso evidente dallo stile di Moore che sulla linea bidimensionale basa tutta la sua narrazione. Ogni fotogramma possiede molteplici strati di lettura. Ogni frame è uno storyboard. "L’obiettivo – dice il regista intervistato da Diana Cardani su FilmTV – è comporre ogni inquadratura in modo tale che questa racconti la storia in modo chiaro, univoco". I film di Cartoon Saloon, compreso I racconti di Parvana - The Breadwinner (2017) diretto da Nora Twomey  (sicuramente il titolo più impersonale ma non per questo estraneo al discorso), abbracciano le radici del mito per riportare il nostro sguardo a un cinema che non c’è più.

Un cinema di sagome e ombre: la scatola magica da cui tutto ha preso vita. Con Cartoon Saloon si torna alla tradizione (narrativa e formale), si torna bambini sposando il loro sguardo e, per chi bambino lo fosse già, si diventa grandi con storie appassionanti e con dei lungometraggi che, finalmente, hanno il coraggio di trattare i più piccoli per quello che sono: gli adulti di domani.