Dimentichiamoci dei merletti, delle parrucche vertiginose e dei banchetti che abbondano di sfarzo e potere. I giorni gloriosi delle soirées d’appartement- come venivano chiamate le celebri feste alla Corte di Versailles, sono ormai tramontati e si apprestano ad essere fagocitati dal buio della Storia.

Le déluge- gli ultimi giorni di Maria Antonietta, film di Gianluca Jodice (regista del precedente Il cattivo poeta) ci porta a riflettere su uno dei punti di rottura più irreversibili della Storia, la caduta dell’Ancien régime. A ciò segue la violenza che imperversa nei canti della rivoluzione e la morte di un simbolo assoluto, quella degli ultimi sovrani di Francia, il re Luigi XVI (Guillaume Canet) e la regina Maria Antonietta (Mélanie Laurent), la Madame Deficit, come soleva chiamarla il popolo francese per la vociferata capacità di sperperare tutte le casse dello Stato.

Prendendo ispirazione dai diari di Jean Baptiste Clery (valletto di camera di Luigi VXI), Jodice compone una tragedia cinematografica di tre atti- Dei, Uomini e Morti, sulla prigionia dei sovrani francesi nella Torre del Tempio tra il 1792 e il 1793, restituendo una lenta e tormentata catabasi.

Questa discesa demoniaca è raffigurata attraverso il codice espressivo dello spazio che racchiude in sé la deposizione del potere monarchico e la svestizione simbolica del re e della regina in comuni cittadini che si aggrappano alla speranza di essere assolti nel processo che li dichiarerà poi colpevoli contro la libertà pubblica e contro la sicurezza generale dello Stato. L’elemento formale che crea l’autentica rivoluzione del film è il ribaltamento di prospettiva, l’altra faccia della medaglia che ricorda alla Storia di includere tutti i punti di vista, non soltanto quello dei vincitori. Che cosa ne emerge dunque?

Affiora in superficie la violenza, l’incomunicabilità politica tra il vecchio e il nuovo mondo e la trepidazione di esistenze in bilico tra vita e morte. Compare un uomo il cui torto è quello di essere re di una Francia in preda all’esasperazione e soprattutto, compare una donna, una regina mal tollerata dal suo popolo, che desidera amare liberamente ed essere amata. Ad interferire, questa volta è la natura umana che obbliga puntualmente ogni sovrano a rivestire un ruolo e incarnare, volente o nolente, un simbolo transeunte, sottomesso al divenire.

Uno spogliamento che viene scandito dallo spazio scenico e dalla musica (composta da Fabio Massimo Capogrosso). Quest’ultima si abbraccia infatti al disfacimento del potere e all’insediamento della Convenzione Nazionale (tra i cui membri ritroviamo Robespierre), l’Assemblea esecutiva e legislativa che ha cambiato per sempre le sorti della monarchia francese, condannandola alla ghigliottina, a suon di una Marsigliese intrisa di sangue e terrore.

Con l’occhio moderno è complesso immedesimarsi dalla parte dei presunti “cattivi”, dalla parte della regina frigida che ha dato da mangiare la brioche al popolo affamato e inferocito (frase falsamente attribuitale). La stessa difficoltà, possiamo dire, che sperimentò Luigi XVI quando si ritrovò al cospetto di principi come libertà, uguaglianza e fratellanza, lui che era la personificazione tangibile di Dio, lui che curava i malati di scrofola con il solo tocco della mano (una pratica conosciuta come la cerimonia del tocco, occasione in cui veniva pronunciata la celebre massima il re ti tocca, Dio ti guarisce).

Come sempre, il cinema la fa da padrone e ci sollecita a riflettere sulla capacità di rivolgere il proprio sguardo ad un passato storico largamente studiato, ma ad interpretarlo senza il pregiudizio della coscienza moderna. Questo è l’esercizio massivo che propone Jodice con Le déluge - quel diluvio che è lo spirito della Storia e che irrompe nelle vicende umane con tutta la sua ineluttabile volontà di esistenza.