Le Giornate del Cinema Muto di Pordenone, dirette da Jay Weissberg, nate nel 1982 dalla collaborazione tra la Cineteca del Friuli di Gemona e Cinemazero di Pordenone e giunte ormai alla 42esima edizione, sono una cornucopia dispensatrice di seminari, pellicole rare, nuovi restauri e classici del cinema muto, richiamando nel consueto appuntamento di ottobre cinefili e studiosi internazionali del cinema degli esordi.  

La Divine Croisière (1929), di Julien Duvivier (regista, attore teatrale e produttore cinematografico francese) con un vibrante accompagnamento dal vivo dell'Octuor de France è stata la pellicola presentata come evento inaugurale del festival, risultato del restauro realizzato dalla Lobster Films in collaborazione con il CNC, che brilla per la bellezza dei paesaggi della Bretagna. Le tecniche di ripresa di Duvivier, col suo uso sapiente dei primi piani dei volti (quasi un tributo ai formalisti russi), restituiscono l’intensità e l’autenticità di destini drammatici dei marinai protagonisti della storia.

La trama del film sottende ad una storia d’amore (tra un marinaio e la figlia dell’avido armatore) il tema della ribellione sociale, e per il sospetto che potesse diventare un manifesto di propaganda della lotta di classe il film fu sottoposto ad un pesantissimo intervento censorio che ne stravolse l’impianto, riducendone la durata a 45 minuti. La pellicola presentata al festival ha restituito al pubblico la visione integrale del film e con essa la sua incredibile potenza narrativa.

Un possibile fil rouge di lettura di una parte del ricco e variegato programma, è ritrovare all’interno delle varie sezioni del festival (quali Ruritania, L’origine dello Slapstick, Il Canone Rivisitato, Riscoperte e restauri), oltre che negli eventi speciali, i contributi e le rappresentazioni femminili nel cinema muto, dalle dive alle coprotagoniste, dai costumi di scena alla produzione, dalla sceneggiatura alle tematiche sociologiche, portate sullo schermo da donne pioniere.

Si parte con Hindle Wakes (1927) per la regia dell’inglese Maurice Elvey, tratto dall’omonima pièce teatrale del 1910 di Stanley Houghton, remake della prima versione del 1918 dello stesso regista, con la partitura musicale dell’olandese Maud Nelissen composta nel 2019 su commissione della Kinothek Asta Nielsen.

La protagonista Fanny Hawthorn, (interpretata da Estelle Brody) si sottrae all’ipocrisia morale che la circonda per aver intrattenuto un affaire col figlio del padrone, diventando paladina di anticonformismo e incarnando sullo schermo la donna moderna, il nuovo soggetto che si affaccia sulla scena sociale libera da convenzioni sociali e familiari. Con magnifiche riprese in esterni, dove spiccano le mirabolanti riprese delle soggettive sulle montagne russe nella cittadina balneare di Blackpool, il film mostra gli svaghi della working class durante la “Wakes Week (una settimana di chiusura di fabbriche e scuole ancora oggi in voga nel Lancashire e dello Yorkshire).

Pregevole anche le collaborazioni cinematografiche di Sonia Delaunay, artista di spicco delle avanguardie parigine degli anni '20, co-fondatrice del movimento dell’orfismo nonché designer a cui nel 2024 New York dedicherà una mostra nella galleria del Bard Graduate Center. Nel 1926 collabora in tre progetti cinematografici selezionati nella retrospettiva: il "film alla moda" L'Elégance , girato dall’artista a colori naturali con il sistema Keller-Dorian, il lungometraggio Le Vertige  di Marcel L'Herbier, (antesignano del piu’ famoso Vertigo di Hitchcock del 1958, imperniato sull'ossessione di una donna che a distanza di anni crede di riconoscere il suo defunto amante in uno sconosciuto), in cui si occupo’ di disegnare i costumi, i cuscini e le tende che compaiono nel film e infine ancora come costumista per la serie in sei episodi Le P’tit Parigot di Renè Le Somptier, un thriller ricco di cliffhanger secondo i canoni in voga per il genere

Quest’ultimo narra le vicende del “piccolo parigino”, un ragazzo sportivo osteggiato dal ricco genitore, le cui gesta si svolgono in ambienti decorati in stile modernista, che evocano un mondo pervaso di modernità industriale. Costumi e stoffe, caratterizzati da motivi geometrici e colori brillanti, diventano veri e propri spettacoli performativi, catalizzano l’attenzione dello spettatore mutandone la percezione: ne è emblema l’esibizione del Pierrot-Éclair che danza indossando una tuta -costume disegnata della Delauny (che è anche l’immagine ufficiale del festival).

Polvere di stelle statunitensi. Tra le altre rarità del programma, c’è Circe the Enchantress (1924) di Robert Z. Leonard, riscoperto alla Cineteca di Praga, con la star americana Mae Murray, attrice e produttrice, all'apice della carriera; narra la storia di una moderna tentatrice che accende negli uomini una passione ossessiva, ma che ama solo un uomo, il famoso chirurgo Wesley Van Martyn che la rifiuta per il suo stile di vita libertino: al termine della vicenda, non senza una certa dose di melodramma, riuscirà a raggiungere l’obiettivo.

Il film fu un grande successo di botteghino grazie all’interpretazione di Mae Murray (che fu molto apprezzata dai recensori dell’epoca), fornendo alla star l’occasione di esibirsi in una caratterizzazione a dir poco camaleontica, e in performance particolarmente riuscite come nelle scene di ballo, la prima nello stile della danza moderna, l’altra accompagnando un gruppo jazz afroamericano. Prima infatti di diventare una diva di Hollywood, Mae Murray aveva fatto parte delle Ziegfeld Follies ed era stata in molte tournée negli Stati Uniti e in Europa con partner strepitosi come Rodolfo Valentino.

Nella sezione dedicata al Canone rivisitato ritroviamo l'italiano Ma l’amor mio non muore (1913) di Mario Caserini, primo film della diva silente Lyda Borelli, l’attrice teatrale più conosciuta del momento, interprete dei melodrammi per eccellenza, affiancata da Mario Bonnard in questo dramma passionale che termina, come da copione, con la morte della protagonista, incarnando una figura potente e volitiva ma non abbastanza da affrancarsi dai clichè ottocenteschi di autoannientamento. Il restauro è stato effettuato nel 2013 presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata di Bologna a partire da un negativo camera di 1500 metri, per il Museo del Cinema di Torino e Fondazione Cineteca di Bologna,

E per concludere La madre (1917), di Giuseppe Sterni recentemente ritrovato e restaurato in Olanda, offre un’occasione unica per ammirare l’arte di un’altra grande attrice, Italia Vitaliani che si dedicò soprattutto al teatro distinguendosi per una interpretazione naturale e moderna diventando anche capocomico, cosa assolutamente straordinaria per una donna. Il film narra la storia della madre di un aspirante artista, che si trasferisce in città per iniziare la carriera di pittore e dipinge una giovane modella; ma il soggetto che gli darà notorietà e ricchezza sarà proprio la statuaria madre, anche se il destino ha in serbo qualcos’altro.

Come evidenzia Ivo Blom “C’è la sensazione di un tableau vivant, ma in una versione inversa. Non vediamo un dipinto che prende vita, bensì la modella cinematografica che diventa inanimata.... La madre che nel film si sacrifica controlla ancora la situazione… suscita così nel figlio un profondo senso di colpa, che costi­tuisce anch’esso un prototipo per il cinema melodrammatico muto”.