Ci è, o ci fa? L'artista, beninteso. Se è già qualche anno che il mondo dell'arte ha smesso di porsi la domanda, come dimostra la personale dedicatagli dal Guggenheim di New York nel 2011, quarto italiano vivente a godere di tale onore, è anche vero che Maurizio Cattelan ha la tendenza a polarizzare le opinioni del pubblico. Maura Axelrod, regista e co-produttrice di Maurizio Cattelan: Be Right Back (2016), riparte da lì, ma lo fa con aria divertita e disposta a stare al gioco. Perché di gioco non si può non parlare in riferimento a uno degli artisti più elusivi e contemporaneamente scioccanti del presente, le cui opere sono al tempo stesso gigantesche burle e simulacri di insostenibile inquietudine.

Axelrod ne passa in rassegna quasi tutte le principali: dal Papa Wojtyla centrato in pieno da un meteorite, che gli ha dato la prima grande fama (La nona ora, 1999), all'Hitler inginocchiato con corpo da bambino ma sguardo immutatamente malefico, venduto da Christie's per 17 milioni di dollari (Him, 2001), dal luttuoso viale del tramonto di Pinocchio, finito purtroppo riverso a faccia in giù in una piscina (Daddy, Daddy, 2008), alla gigantesca mano impegnata nel saluto fascista che “il tempo” ha privato di tutte le dita tranne il medio, donata alla città di Milano a patto non venisse mai spostata da Piazza Affari, proprio di fronte alla Borsa (L.O.V.E., 2010).

Trovate? Semplici escamotage per richiamare un'inevitabile attenzione? Non si può negare a Cattelan l'astuta consapevolezza del valore di shock delle sue creazioni, ma Axelrod allarga la sua analisi al mercato dell'arte contemporanea per mostrare come egli sia al contempo un accorto uomo del suo tempo, bravissimo a insinuarsi nelle pieghe del sistema, ma proprio in quanto tale il più capace di metterlo a nudo. Nel film sfilano galleristi di massimo livello, critici d'arte delle più importanti riviste, curatori di importanti musei e mostre, tutti a descrivere Cattelan come una mente brillante, interessata più al successo nell'arte che all'arte in sé. Eppure lo trovano irrimediabilmente geniale, creativo, imprescindibile.

La contrapposizione fra artista “puro”, dedicato al sacro fuoco della propria visione, e opportunista cercatore d'oro, che inganna il pubblico con l'astuzia, dovrebbe aver mostrato la corda ormai da molto tempo, quantomeno dalla Merda d'artista di Piero Manzoni, che ne rappresenta al contempo la più caustica e la più rassegnata sconfessione. Eppure l'idea permane, non solo per romanticismo ma anche per paura di vedere se stessi come società (anche se sulla Pop Art, ormai istituzionalizzata da qualche decennio di vita in più, nessuno si prenderebbe la briga di far polemica). Cattelan in tal senso è il vero disturbatore, in quanto abilissimo rimasticatore di simboli e manufatti impregnati nel nostro humus, che li sa risputare fuori composti in forma di sberleffi capaci di suggerire il dramma.

Dietro la commedia si nasconde sempre il tragico, si sa, e dunque uno scoiattolo suicida al tavolo della propria cucina economica, con la rivoltella al suolo, l'elefante ricoperto dal drappo bianco del Ku Klux Klan, o la scritta Hollywood, identica all'originale, apposta sopra una discarica a Palermo, sono in grado sia di strappare un primo sorriso, sia di lasciare una piccola ferita nell'animo. Cattelan tratta molti tabù nella società occidentale: morte, sofferenza, fallimento, obbedienza cieca alla carriera, strapotere della finanza, insensatezza dei segni del potere. Da campione del sincretismo culturale, è contemporaneamente il più diretto e il più dissimulatore, seminascosto dietro il suo esercito di animali imbalsamati, referenze culturali arcinote, auto-rappresentazioni come buffo pupazzetto (oltre le archistar, le artistar no?). Axelrod lo segue sulla via del divertimento, del graffio, e anche della bellezza delle immagini. E nell'infedeltà (per chi non sappia nulla di lui, ci sarà un colpo di scena a tre quarti del film), riesce a esserne la narratrice più devota.