Il sociale. E il privato. Se è vero che il cinema d'Oltralpe, per tradizione incline alla costruzione del grande romanzo realista, negli ultimi anni non ci ha fatto mancare ottimi esempi di pellicole attente all'uno o all'altro aspetto, è anche vero che Le nostre battaglie riesce a ritagliarsi una nicchia di tutto rispetto nel panorama. La storia di Olivier (Romain Duris), contemporaneamente impegnato a crescere due figli dopo l'abbandono improvviso da parte della moglie e a sopravvivere nel clima psicologicamente tossico di uno dei magazzini logistici di “ameliz.com” (ogni riferimento è del tutto plateale), rivela l'inevitabile intersecarsi fra piano lavorativo e personale.

Se cinema sociale e cinema di privati sentimenti prendono spesso strade distinte (si pensi ad esempio a In guerra, presentato a Cannes 2018 proprio negli stessi giorni di Le nostre battaglie) il regista Guillaume Senez si tiene lontano dall'acme del dramma alla Ken Loach, rifacendosi piuttosto ai conterranei Dardenne. Solo nell'intimità e nel calore del tono, però, perché per il resto Senez non si concentra su una vita ai margini, o sull'orlo della precarietà e della povertà, ma su quella di un individuo ben inserito nella struttura sociale (al quale verrà anche offerta una promozione) che fatica a tenere il passo emotivo della sua esistenza.

Olivier si affanna a essere tutto ma non può: all'inizio è uno stimato capo reparto, che riesce anche a essere impegnato sindacalmente e protettivo verso i colleghi più deboli, ma non si accorge della sofferenza di sua moglie e conosce i suoi amati figli solo in maniera superficiale; poi è un padre che si impegna in ogni modo a fare da unico pilastro alla sua famiglia, ma la sua posizione in azienda si fa più incerta e le sue rivendicazioni sociali più sfumate.

Le battaglie da combattere sono molte e tutte importanti, il conflitto dell'una con l'altra porta a una quieta disperazione. Eppure Senez mostra continuamente di non perdere la fiducia nei suoi protagonisti, e la sua macchina a mano li accompagna con naturalezza, fra pudore e vicinanza. C'è in Le nostre battaglie un senso profondo di speranza nelle relazioni umane, che travalica gli errori che Olivier puntualmente commette con i figli, la moglie, i colleghi, la sorella, la madre. E c'è, come è evidente nella “non-scelta” di Olivier nel finale, una affermazione di dominanza del personale sul politico, come a rimarcare che, specularmente al detto comune, infine anche “il politico è personale”.