È cinema o televisione, Esterno notte? Il dubbio sussiste anche mentre arriva in sala la seconda parte della serie, per quanto a Marco Bellocchio di queste definizioni interessi poco. Esterno Notte nasce prima di tutto come racconto, ci tiene a sottolineare. Il ricorso al formato seriale è stato una semplice casualità: il “controcampo” a Buongiorno, notte era troppo ampio per un solo film. Che la sua opera fluviale venga distribuita in sala, afferma il regista, è un risultato altrettanto inaspettato.
Eppure, e qui c’è tutto l’acume di un cineasta come ne abbiamo pochi, Bellocchio è pienamente conscio della natura molteplice di Esterno Notte: cinema e televisione in egual misura, dunque, per un prodotto “autoriale” come si aspetta il pubblico fedele al regista, ma anche più fruibile, strutturato secondo il gusto dell’audience televisiva (che vedrà la serie in autunno). Una dicotomia che testimonia l’adattabilità di un autore disposto a dare al suo cinema una forma moderna, universale, autenticamente popolare.
Si spiega così la collaborazione alla sceneggiatura di Ludovica Rampoldi (già co-autrice de Il traditore) e Stefano Bises, due nomi di punta della nuova serialità italiana. Bellocchio pop, ha detto qualcuno: perché no? Esterno notte è un magistrale lavoro di sintesi artistico-commerciale, attraverso cui il suo autore riesce a distillare la propria poetica senza snaturarla, a costo di qualche schematismo. Si tratta di un capitolo fondamentale nell’itinerario della nuova epica italiana che Bellocchio, partendo da Vincere e passando per Bella addormentata e Il traditore, ha iniziato a tracciare.
Nella seconda parte di Esterno Notte la visione umanistica dell’autore si concretizza ancora in forma di Kammerspiel, nelle stanze dove avviene la tragedia privata dei suoi personaggi. E guarda a caso il terzo episodio si apre su una stanza da letto, quella dove dormono Adriana Faranda (Daniela Marra) e Valerio Morucci (Gabriel Montesi): pure loro, come gli altri protagonisti, sono schiavi di un piano ideologico che non lascia spazio ai compromessi.
L’episodio sulla coppia di brigatisti è quello in cui Bellocchio si sposta più indietro nel tempo, per dare spessore ai personaggi, spiegarne le motivazioni e le conflittualità. È anche l’episodio che più di tutti soffre la necessità di sintesi storica e ideologica della sceneggiatura: perché i protagonisti dell’episodio sono due; perché fra tutti i personaggi di Esterno Notte Faranda e Morucci sono gli antagonisti più classici, e quindi preda di facili psicologismi; perché, soprattutto, pesa il precedente di Buongiorno, Notte, di cui questo segmento rappresenta una sorta di variazione.
Nel corso dei canonici cinquanta minuti Bellocchio racconta il conflitto tra l’amore e la polvere da sparo, facendo dei due attentatori dei casi psicanalitici – una brigatista succube dell’humanitas cattolica e un attentatore sonnambulo, che si arma di pistola ancora addormentato. È il momento di Esterno notte in cui la poetica umanizzante del regista risulta più ovvia e schematica, ma nei limiti del nuovo formato Bellocchio resta coerente alla sua visione di una Storia fatta di Personaggi, non di semplici figure.
Segue poi la stanza di Eleonora Moro, quella più simile agli interni borghesi che Bellocchio indaga da sessant’anni. Il racconto del calvario di Eleonora è, insieme all’episodio su Cossiga, il punto emotivamente più alto di Esterno Notte, il segmento in cui lo sguardo del regista raggiunge l’apice della sua pietas. Senza rinunciare alle sfumature: pur aderendo completamente allo spirito combattivo del personaggio, Margherita Buy è straordinaria nel restituire la cocciutaggine con cui Eleonora rimane fedele alla propria compassione democristiana.
Raccontando il martirio dei Moro, invisibili di fronte alla logica dello Stato, Esterno notte si presenta come una grande odissea mediatica. In un film che trabocca di cinema (Risi, Comencini, Petri, Rosi, ma anche Peckinpah nella seconda parte), di schermi e di telegiornali, la tragedia di Eleonora e della sua famiglia passa necessariamente attraverso la sua rappresentazione televisiva. Ed è cruciale, quindi, la sequenza relativa ai funerali della scorta di Moro, che Bellocchio mostra attraverso le immagini d’epoca e che manipola a suo piacimento: Eleonora rompe così la finzione mortifera della TV e lancia uno sguardo accusatorio verso Cossiga – un piccolo, impossibile gesto di rivalsa privata che è anche un indimenticabile momento di meta-cinema.
Infine l’ultima camera, quella che la Storia ha cristallizzato nell’immaginario popolare, dove Bellocchio documenta il j’accuse di un Fabrizio Gifuni in stato di grazia. Nel sesto episodio, come all’inizio del primo, Aldo Moro non è più un agnello sacrificale, ma un autentico, furioso ribelle, incapace di accettare il destino che gli è stato riservato – come se dall’interno della sua prigione anche lui avesse vissuto l’esterno spaventoso che il film racconta.
La conclusione del calvario di Moro è il momento in cui Bellocchio deve fare i conti con il finale di Buongiorno, notte, con la propria responsabilità di regista davanti al trauma storico. Questa volta non c’è utopia: Bellocchio rinnega ogni concessione fantasiosa, e trasforma l’incipit del primo episodio, con Moro accusatore sul letto d’ospedale, in una delle allucinazioni di Cossiga. Poi lascia alla tragedia lo spazio che merita, mettendo in scena la risoluzione della vicenda con una potenza quasi apocalittica.
L’autore fa la sua dichiarazione d’intenti tra il quinto e il sesto episodio, grazie a una curiosa mise en abyme: una troupe cinematografica di studenti che girano in uno scantinato la loro versione del sequestro, filmando l’assassinio di Moro ancora prima che Bellocchio scelga di farlo. È il sintomo di una visione storica rinnovata e responsabile, di una sensibilità civile più forte che mai.
Ce lo ricorda anche alla fine di Esterno notte, quando usa il filmato d’epoca per raccontare le conseguenze di quei giorni. Potrebbe sembrare una facile concessione all’estetica del biopic: non lo è. Con le immagini di repertorio, questa volta non manipolate, Bellocchio passa il testimone allo spettatore, chiedendo di giudicare i fatti, non più la loro rappresentazione fittizia. Le camere private dei suoi protagonisti sono adesso aperte al pubblico e illuminate dalla Storia – come lo stanzino del martirio di Moro, inondato di luce bianca dopo che uno dei brigatisti ne abbatte i muri.
Al di là delle discussioni sulla sua natura ibrida, Esterno notte si prefigge questo obiettivo: invitarci a vivere la finzione cinematografica e poi a superarla. Ci interroga, come fa Moro al termine del primo episodio, guardandoci dritto in faccia e chiedendo la nostra partecipazione come spettatori e cittadini. “Sarà la Storia a giudicare”, e noi con essa. Che questo appello sconvolgente e importantissimo venga fatto sulle reti generaliste, oltre che al cinema, è decisamente una bella notizia.