Il Colectiv non è un luogo, è una porta. Nelle mani di Alexander Nanau, il locale notturno di Bucarest andato a fuoco il 30 ottobre 2015, con 64 morti e oltre il doppio dei feriti, trascende la singola storia di colpevole incuria e criminale superficialità – come se non fosse già abbastanza – e diventa il punto d'accesso a un sistema di potere corroso dalle fondamenta, una bomba a orologeria pronta da chissà quanto tempo a deflagrare.

In Collective, presentato a Venezia 2019 e miglior documentario agli European Film Awards 2020 (ora sulla piattaforma IWonderfull), scelto dalla Romania per rappresentare il paese agli Oscar, Nanau non si appunta sul caso contingente. Non argomenta sulle ragioni dell'incendio, le uscite d'emergenza non funzionanti, le persone decedute all'interno del locale (alla fine, saranno meno della metà del totale). Perché, seguendo il giornalista della Gazeta Sporturilor, Catalin Tolontan, cicerone degli spettatori per la prima parte del film, si avvede di una anomalia ancora più grossa: i feriti ricoverati nei vari ospedali cittadini, severamente compromessi dalle ustioni nella capacità di difendersi dalle infezioni batteriche, stanno morendo in un numero abnorme.

È un outsider come il giornalista di una testata sportiva, assieme al suo team di collaboratori, a persistere su questa via di indagine, scoprendo un sistema malato di corruzioni e appalti truccati, dove i disinfettanti ospedalieri arrivano diluiti di 10 volte rispetto alle norme previste, i medici coscienziosi restano inascoltati, e il controllo è demandato ai laboratori accreditati dal potere stesso. Un mondo chiuso, impenetrabile e autoreferenziale.

Nanau non è lì però per celebrare ancora una volta gli eroi della carta stampata, per girare l'analogo documentario de Il caso Spotlight: il suo sguardo osservante, attento a evitare ogni sottolineatura d'enfasi, il suo passo del racconto tenuto ma riflessivo – in un'epoca di ottimi documentari incalzanti e altamente stilizzati – è lì per far emergere, attraverso plurime voci, il senso di una tragedia giustappunto “collettiva”. È un altro outsider, Vlad Voiculescu, il nuovo ministro della salute del governo tecnico, instaurato sotto la spinta di un'opinione pubblica in subbuglio, a guidare gli spettatori per la seconda parte degli eventi. Nanau, come un novello Frederick Wiseman, riesce a filmare i meccanismi in atto al centro del potere, curioso però non delle regolarità dei sistemi istituzionali ma dei loro punti di frizione.

Collective nel finale non decreta né vincitori né vinti, pone l'accento sull'erosione progressiva della fiducia in un sistema democratico e su come la diffusione della responsabilità generi mostri. Nel mezzo, con continenza di esposizione e una sagacia analitica da far invidia a Noam Chomsky, espone un tristo campionario di strategie di diversione di massa: nascondere, rassicurare, insabbiare, incolpare, spandere fango e, alfine, annacquare il vero in un oceano di stimoli.