È nell'indistinzione, nella mescolanza tra maschile e femminile e nel perverso e continuativo delirio abbacinante dei personaggi che lo sguardo di Bertrand Mandico disvela tutte le sue ossessioni e ambiguità, manipolando, distorcendo e adattando l'immagine alla sua folle rêverie. Ed è proprio nell'immagine, nella composizione di certe inquadrature e nella ruvidezza della pellicola, tra la limpidezza del colore e un bianco e nero granuloso ma oltremodo evocativo (Mandico ha scelto di girare il film in Super-16mm) che risiede il magnetismo e il potenziale attrattivo di Les garçons sauvages, primo lungometraggio del regista francese. Tra i cineasti contemporanei Mandico è senza dubbio uno che osa e sa esattamente come farlo, forte di un'idea di cinema inusuale e personalissima, vicino a Leos Carax e amante dello sperimentalismo del cinema giapponese degli anni" Sessanta, squarciando come pochi e senza remore i veli del pudore, tanto da suscitare indignazione e sgomento in quei pochi che sia a Venezia che durante la proiezione al Future Film Festival hanno abbandonato la sala dopo appena dieci minuti di film.
L'overture è addolcita da una voce narrante che stempererà i toni della vicenda in tutto il suo corso, ma non basta a smussarne gli angoli, a oscurare quelle prime immagini di brutalità e violenza che non vorremmo mai fossero tralasciate, quanto, invece, mostrate in tutto il loro nitore. Siamo all'inizio del XX secolo e ci viene presentato il mondo fuori dall'ordinario di cinque ragazzini dell'alta borghesia, dediti a una sconnessa flânerie tra la letteratura, l'alcohol e scorribande qua e là. Cinque piccoli e bellissimi drughi, nei cui tratti somatici già si scorgono le scie di un femmineo che di lì a poco si sarebbe palesato. Dopo l'ennesimo gesto esecrabile, i rispettivi genitori decidono di affidare la loro rieducazione (di nuovo Kubrick) a un tale Capitano che li avrebbe poi torturati e umiliati a bordo del suo vascello, mesi senza toccare la terra ferma. Sbarcano poi su un'isola andando incontro a un segreto sconvolgente.
Tra amplessi consumati con piante dalle forme femminili e latte che scorga da frutti dalla forma fallica, l'isola è completamente sessualizzata. Si tratta di un'ostrica che attira a sé ogni uomo per trasformarlo in qualcos'altro. Come dicevamo pocanzi, infatti, Mandico ha voluto esplorare quella zona limite tra la mascolinità e il femmineo, facendo sì che i personaggi si confrontassero con il venir meno di una delle due caratteristiche a favore dell'altra: la cura cui sono stati sottoposti consisteva nella metamorfosi di ognuno di loro in donna, per mezzo di una pozione, al fine "mitigarne" la propensione alla violenza e pensare alla possibilità di un mondo al femminile "dove non ci sarebbero conflitti e guerre".
Delirante, immaginifico e dissacrante, Les garçons sauvages è costruito magistralmente: dalla definizione psichica dei personaggi al montaggio, nei passaggi dal bianco e nero al colore e nell'uso di un sonoro eclettico e quanto più vario possibile, dal classico al pop coevo passando per Nora Orlandi. Nelle traslucide sequenze sottomarine Mandico rivelerà poi tutto il suo amore per Jean Vigo, con brevi parentesi in cui uno dei protagonisti sembra quasi imitare l'espressione trasognata di Jean Dasté. Un risultato galvanizzante. Tra le allucinazioni cinematografiche (e cinefile) più belle viste al cinema quest'anno.