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“Pioggia di ricordi” al Future Film Festival 2018

Tre anni dopo Una tomba per le lucciole, Takahata alza nuovamente l’asticella di un modo di fare animazione al tempo semplicemente impensabile. Chi mai avrebbe sprecato matite e fogli da disegno per delle vicende così tremendamente realistiche, mature, adulte? Chi mai poteva pensare, negli anni dell’esplosione di Akira, di mettere gli strumenti più adatti all’affermazione della fantasia al servizio di una storia fatta di persone come noi che vivono in un mondo come il nostro? Pioggia di ricordi è un racconto dolceamaro che ha il sapore del cinema intimista di Yasujiro Ozu, a cui Takahata è sicuramente debitore, ma forse è con Il posto delle fragole di Ingmar Bergman che possiamo riconoscere ancor più punti di contatto.

“Unsane” al Future Film Festival 2018

Unsane stupisce per la sua capacità di rientrare in un genere senza aderire a stereotipi, consegnando allo spettatore un prodotto estremamente godibile che gioca con i fondamenti di un linguaggio senza stravolgerli. Gli sceneggiatori e Soderbergh costruiscono una trappola ipnotica, un gioco di specchi che rimbalza continuamente il pubblico tra il sano timore del persecutore e il mondo delle nevrosi private del protagonista, facendo intravedere la verità tra un’oscillazione e l’altra. Unsane costituisce un raro esempio di thriller psicologico scritto e diretto evitando i luoghi comuni del genere, un’esperienza interessante e coinvolgente che dimostra come, con un po’ di creatività, si possa instillare nuova vita in un canone oberato da produzioni mediocri.

“Les garçons sauvages” al Future Film Festival 2018

Delirante, immaginifico e dissacrante, Les garçons sauvages è costruito magistralmente: dalla definizione psichica dei personaggi al montaggio, nei passaggi dal bianco e nero al colore e nell’uso di un sonoro eclettico e quanto più vario possibile, dal classico al pop coevo passando per Nora Orlandi. Nelle traslucide sequenze sottomarine Mandico rivelerà poi tutto il suo amore per Jean Vigo, con brevi parentesi in cui uno dei protagonisti sembra quasi imitare l’espressione trasognata di Jean Dasté. Un risultato galvanizzante. Tra le allucinazioni cinematografiche (e cinefile) più belle viste al cinema quest’anno.

“La storia della principessa splendente” al Future Film Festival 2018

Al suo ultimo film, Isao Takahata firma la sua cosmicomica. Strabiliante il momento in cui la Principessa Splendente fa ritorno sulla Luna e viene evidenziato il progressivo venir meno del colore del volto acquisito sulla Terra; il bianco come colore dell’assenza e della nostalgia che attraversa tutta la pellicola. Kaguya è per natura una nebulosa, ma l’unico amore lo nutre per quei due amabili esseri umani che l’hanno cresciuta e verso cui rivolgerà un ultimo, straziante sguardo prima di confondersi nell’indeterminatezza lunare, di perdere quell’ “io” che la Terra le aveva restituito.

“Where It Floods” al Future Film Festival 2018

Inizialmente Where It Floods lascia confusi, con anche un pizzico di senso di colpa. L’itinerario fra gerghi, dinamiche e luoghi familiari è reso straniante dall’aspetto di breve (neanche cinquanta minuti) e piuttosto bidimensionale film d’animazione; un mondo che sentiamo di conoscere affiora appena dall’acqua. Marito e moglie con l’unico figlio vivono ancora nella casa di sempre nonostante un’alluvione abbia sommerso gran parte delle terre circostanti. Nei dintorni non c’è quasi più nessuno, l’unica cosa che li trattiene lì è l’ostinazione dell’uomo a non abbandonare ciò che appartiene alla sua famiglia da ben sette generazioni.

“Big Fish and Begonia” al Future Film Festival 2018

Fin dalla voce fuori campo iniziale – che accompagnerà lo spettatore nel corso di tutto il film – Big Fish and Begonia diventa un’esperienza, un percorso iniziatico, filosofico e spirituale che magnetizza l’attenzione di chi guarda tanto per l’incalzare continuo della vicenda quanto per la complessità dei concetti trattati, anche implicitamente: c’è innanzitutto dell’epica in questa storia, il peso dell’anima, il sacrificio individuale per un bene più grande, il bisogno di prender parte a qualcosa e il senso dell’avventura, la cosiddetta curiositas odissiaca e quello slancio immaginifico e trascendentale che contraddistingue molta produzione artistica orientale, unito alla necessità di ricongiungersi all’elemento naturale, motore universale.

“Insects” al Future Film Festival 2018

“Sarà il mio ultimo lungometraggio” ha detto Jan Švankmajer dando inizio al crowdfunding che gli ha permesso di portare a termine il film. Fra le cause addotte la bella età di 84 anni, l’impegno a tempo pieno richiesto dalla sua ricetta – surreale miscela di animazione che lo ha imposto come pioniere della moderna stop motion – e la sempre maggiore difficoltà a produrre e distribuire un cinema tanto di nicchia. Ciò premesso non è una coincidenza a legare l’annunciato “pensionamento” e un certo carattere autoriflessivo del film. Andrew Johnston del New York Times aveva la sua parte di ragione quando scrisse che “malgrado i riferimenti culturali e scientifici c’è nel suo immaginario un’accessibilità radicata nel linguaggio comune dell’inconscio, che lo rende egualmente gratificante per gli ipercolti e per chi semplicemente apprezza la stimolazione visiva”. L’aveva lui stesso quando teorizzò l’atemporalità del cinema di animazione, destinato a non invecchiare mai mentre gli altri film si riducono poco a poco a reperti della propria epoca. Ma Švankmajer sa anche, forse a malincuore, di rivolgersi a un’élite. E la lascia con Insects da metabolizzare.