Dopo vent'anni di matrimonio, Richard scopre per caso i tradimenti di Maria. All'uno, sconvolto, l'altra replica serafica che si tratta di una inevitabilità, dopodiché esce di casa e si rifugia non vista nell'hotel all'altro lato della strada, dove incontra il Richard ventenne di cui era follemente innamorata, e altri protagonisti della loro storia sentimentale, fermi al tempo in cui vi avevano rivestito un ruolo. Meglio non dire di più della trama de L'hotel degli amori smarriti, per non perdersi il piacere di scoprire chi ci sarà dietro la porta ogni volta.
Coadiuvato da Chiara Mastroianni, premiata come migliore interprete nella sezione Un Certain Regard a Cannes 2019, in un ruolo “à la Cary Grant” per ammissione del regista stesso, Christophe Honoré parla d'amore mettendo in scena l'effetto implacabile degli eventi sulle persone, o forse di converso dello scorrere del tempo fingendo di occuparsi di schermaglie sentimentali. Poco importa, L'hotel degli amori smarriti è brioso e spumeggiante senza cercare di essere simpatico a tutti i costi, proprio come la sua protagonista, e la loquacità imperturbabile dei suoi personaggi è svolta con molta disinvoltura in un solco inusuale fra il filosofico, l'ironico e il surreale.
Richard attribuisce l'infedeltà di Maria all'essere diventata cinica, utilitarista, una che non pensa più che 2+2 possa fare 5 come quando si erano conosciuti, Maria dal suo canto pensa che gli altri uomini le siano sempre piaciuti punto e basta, e in ogni caso non si capacita del fatto che Richard abbia smesso di suonare il piano, si sia messo a chiamare gli amici “mister” e addirittura ora ammiri il “modello tedesco”. Tutto viene messo sul piatto per cercare di sciogliere il rompicapo sentimentale: chi ha ucciso l'amore appassionato, lei, lui, entrambi, o la consunzione naturale delle cose?
La domanda non riceve risposta, ma viene esplorata da ogni punto di vista possibile, non ultimo quello di una manifestazione della volontà di Maria personificata in un simil Charles Aznavour in giacca di leopardo. Honoré parla del serio pescando da tutti gli anfratti del faceto, utilizzando in primis l'ironia, a partire già dal titolo originale alla pellicola, quella “stanza 212” il cui numero si riferisce anche al codice civile francese nella parte relativa agli obblighi coniugali, ma anche un certo grado di bizzarria a volte straniante (il bambino e il manichino) a volte poetica (le foglie d'autunno sul letto), e un gusto dichiarato per la citazione scoperta (il ristorante Rosebud come lo slittino di Quarto potere, la neve che, appena scoperto il tradimento, copre tutto come ne I morti di James Joyce).
Honoré si bea del suo divertimento e gioca godardianamente con l'ammissione dell'artificio: gli scenari non nascondono il posticcio, Maria e Richard dominano come figure giganti sul plastico dell'ambientazione, il sonoro si distacca inopinatamente dal visivo. Per interpretare una coppia in crisi, sceglie la sua attrice favorita Chiara Mastroianni e il di lei ex marito nella realtà Benjamin Biolay, esattamente come in Les bien-aimés aveva coinvolto la sua vera madre Catherine Deneuve per rappresentare un rapporto genitore-figlia. Si diverte a ribaltare le convenzioni sentimentali, sessuali e di genere non tanto a fini politici quanto d'effetto, nel solco peraltro di tanta commedia sentimentale francese degli ultimi decenni. Ne esce un divertissement intelligente e spiritoso, e scusate se è poco.