Lightyear - La vera storia di Buzz (da qui in avanti solo Lightyear) è un progetto metacinematografico. Ci viene subito annunciato, infatti, che il film che stiamo per guardare è il medesimo film che negli anni Novanta venne visto da Andy - il bambino di Toy Story (1995) “proprietario” di Woody e Buzz - e che lo fece innamorare così tanto dello space ranger da volerne poi possedere una copia giocattolo. Dunque, se questa componente è talmente centrale da essere posta in maniera esplicita all’attenzione dello spettatore ancora prima dell’inizio della proiezione, è proprio tramite la medesima lente che diventa interessante analizzare il progetto.

Lightyear è un film Pixar, e la Pixar ci ha già abituato a venire considerata come un autore, non solo una casa di produzione. Questo loro ultimo lavoro si inserisce perfettamente nel percorso più recente. Dopo Soul (2020), infatti, la casa di Emeryville ha provato a cambiare tendenza. Il film di Pete Docter era una dichiarazione d’intenti: provare a chiudere con il passato e aprire le porte verso nuovi sguardi. Ecco che subito dopo hanno quindi esordito registi alla loro prima esperienza nel lungometraggio, si sono sperimentate le potenzialità dello streaming - Luca (2021) e Red (2022) sono usciti solamente su Disney+ senza passare su nessuno schermo cinematografico -, le storie raccontate e la forma adottata per farlo sono sembrate più semplici e lineari che in passato, quasi per andare incontro allo sguardo e al gusto di un pubblico più infantile.

Eccezion fatta per l’uscita theatrical, Lightyear rispecchia tutte queste componenti, presentandosi come un film di genere piuttosto classico - le avventure fantascientifiche di Buzz e soci hanno tanti riferimenti con i capisaldi che hanno scolpito la storia di questa particolare narrazione filmica - adatto al pubblico di tutte le età, capace di intrattenere con il giusto equilibrio di azione (le sequenze più adrenaliniche sono girate divinamente), ironia e retorica.

Siamo lontanissimi dalle vette Pixar e il film sembra accontentarsi giocando sulla difensiva invece che trovare il coraggio di azzardare qualche intuizione. Tuttavia è sempre la componente metacinematografica a restare al centro dell’analisi e seguendo questa linea è impossibile non vedere nel percorso dello space ranger quello intrapreso dalla casa di produzione.

Pensandosi un maschio alpha tutto d’un pezzo capace di vincere qualsivoglia ostacolo senza l’aiuto di nessuno, Buzz dovrà affrontare di peso le sue debolezze e accettare l’aiuto di un gruppo impacciato e goffo di suoi “colleghi”. Pixar ha superato da tempo l’età dell’oro, quando da un punto di vista creativo era un’eccezione mondiale. Ora sembra non riuscire più a ritrovare quello smalto e prova a farsi sostenere dalla fetta di pubblico forse meno considerata lungo il suo percorso: quella dei più piccoli.

Lightyear pone come ostacolo principale per il protagonista il tempo. Come in un film di Nolan, lo space ranger sarà costretto a viaggi spaziotemporali che lo lasceranno giovane mentre il resto delle sue conoscenze invecchierà a vista d’occhio. La casa di Emeryville sta affrontando la medesima problematica: il suo pubblico di riferimento sta invecchiando mentre i film restano lì, cristallini, limpidi e sempre giovani.

L’anno luce che dà il titolo al film, se nel primo capitolo di Toy Story serviva a connotare il personaggio come un alieno, un unicum proveniente da un mondo lontanissimo per logiche e componenti rispetto al classico e attempato sceriffo Woody, qui rispecchia la quintessenza della Pixar: una casa di produzione che un tempo era proiettata anni luce in avanti rispetto la produzione mondiale, ora rischia invece di restare sola e distante, troppo distante, sia da chi, crescendo, ha sempre seguito e condiviso passo dopo passo tale percorso (simboleggiato perfettamente dal personaggio di Aisha, soprattutto nella sequenza “muta” che è il vero cuore pulsante del film), sia da un pubblico diverso che lungo gli anni è stato poco considerato ma che ora, per andare oltre l’infinito, diventa vitale riportare al centro.