Henry Holland è un quieto e ordinario impiegato di banca, talmente fidato che i suoi superiori gli hanno affidato da tempo immemore un compito delicato, il trasporto di lingotti d'oro. Non immaginano, però, che da almeno vent'anni il loro docile sottoposto stia progettando di rubarne un carico, e se non lo ha ancora fatto è solo perché non saprebbe poi come smerciare impunemente la refurtiva. Quando però per caso si imbatte in Alfred Pendlebury, un produttore di souvenir da quattro soldi, si accorge che quelle riproduzioni di Tour Eiffel destinate alle bancarelle parigine potrebbero dopotutto non essere dorate solo in apparenza, e consentirebbero di portare agevolmente il bottino all'estero.
L'incredibile avventura di Mr. Holland (The Lavender Hill Mob, 1951) è stato realizzato da un team di colonne della commedia Ealing Studios del dopoguerra (Charles Crichton alla regia, T.E.B. Clarke alla sceneggiatura, Georges Auric alle musiche, Alec Guinness e Stanley Holloway come interpreti principali) e non gli manca proprio nulla: perfetti incastri di trama, dialoghi briosi, protagonisti ineccepibili, ritmo e dinamismo.
Da spettatori non si può non fare il tifo per i nostri (non)eroi, quando la vittima del maltolto è una banca impersonale, dove i superiori non alzano nemmeno gli occhi dalle loro scartoffie mentre interloquiscono, e dove si è degni di tanta maggior considerazione quando più ci si mostra prevedibili e senza inventiva.
Attento a cogliere una realtà in cui tutti sognano di diventare ricchi pur sapendo già non ci riusciranno mai, come viene detto espressamente in apertura, L'incredibile avventura di Mr. Holland è un emblema delle Ealing Comedies fra la fine degli anni '40 e i '50; una gemma di malcelata tentazione alla sovversione, pronta a registrare i sottili impulsi antisociali che erano nell'aria e a rappresentarli in forma di intrattenimento liberatorio per un pubblico inglese molto provato dal proprio recente passato.
Sovversione che non può trovare ovviamente, nella morale del tempo, soddisfazione finale, ma che conduce lo spettatore attraverso una girandola di scene memorabili, dall'esilarante “scouting” dei complici della rapina, all'intricato inseguimento fra auto della polizia, alla discesa a perdifiato dalle scale della Tour Eiffel – quest'ultima quasi a precorrere, pur coi limiti tecnici dell'epoca, quell'idea di cinema vertiginoso che poi verrà a titillare i sensi del pubblico.
Grande successo all'uscita in sala, miglior film ai BAFTA Awards, e sceneggiatura vincitrice al Festival di Venezia e agli Oscar. Audrey Hepburn è sconosciuta ma già incantevole con una sola battuta pronunciata, e Alec Guinness perfetto, in grado di rendere credibile qualsiasi sfumatura dalla sottomissione alla spregiudicatezza (aveva da poco dato sfoggio della sua versatilità negli otto personaggi di Sangue blu, 1949). E, last but not least, la soddisfazione tutta british di dare la colpa dell'inizio della fine alla mancanza di comprendonio dei francesi.