Abel è il nome dell’alter-ego di Louis Garrel nei suoi film da regista. Sempre lo stesso personaggio, più vittima che carnefice (nomen omen), che affronta di volta in volta vite ed esperienze differenti. Un Michele Apicella truffautiano, o un Antoine Doinel morettiano, al quale l’attore-autore presta la sua faccia da schiaffi a cui (quasi) tutto si perdona. Il povero Abel attraversa rassegnato la cinematografia di Garrel fin dal suo esordio dietro la macchina da presa con I due amici, facendosi trascinare dalla corrente, crescendo e cambiando poco per restare sempre più o meno lo stesso.

Dopo la paternità difficile del precedente La crociata (dove doveva vedersela con un figlio molto più adulto e consapevole di lui), nell’Innocente Abel fa il suo passo avanti più importante, pur partendo da un posizione di totale immobilismo: nel nuovo capitolo della sua epopea è un giovane vedovo che non si perdona la morte della moglie in un incidente di cui si sente responsabile. Vive sospeso in un limbo, ancorato al suo lavoro di guida dell’acquario di Lione e confortato dall’amica Clémence – che forse potrebbe, e vorrebbe, essere qualcosa di più, anche se lui non ha intenzione di muovere un dito per cambiare le cose.

Ovviamente non vede di buon occhio la madre, incontenibile e sconsiderata, che tiene un corso di teatro in carcere e decide di sposare uno dei detenuti che lo frequenta. Inizialmente Abel subisce la cosa con silenzioso malcontento, ma quando l’uomo esce di galera e convince la donna ad aprire un negozio di fiori, si improvvisa detective per scoprire cosa si nasconde dietro lo sfuggente patrigno.

È lui l’innocente del titolo? O è Abel, così radicato nella sua routine e nelle sue convinzioni? Difficile dirlo, anche dopo aver seguito tutte le svolte impreviste e i colpi di scena di questa intrigante commedia gialla, dove Garrel riesce a trasportare felicemente le corde intime e delicate del suo cinema sul territorio finora a lui sconosciuto dell’indagine poliziesca. Il gioco è hitchcockiano – dell’Hitchcock più humorous, da La signora scompare a Complotto di famiglia passando per La congiura degli innocenti – ma filtrato dallo sguardo nouvelle vague che Garrel figlio ha ereditato dal padre e dai suoi numi tutelari.

E allora la mente corre al Truffaut di Finalmente domenica! (e con la spiritosa Noémie Merlant del Ritratto della giovane in fiamme riesce quasi a replicare l’alchimia della coppia Trintignant-Ardant), all’impacciato Doinel detective di Baci rubati. Non mancano i rimandi alle atmosfere e alle trame criminali del polar d’oltralpe, replicate e teneramente derise, omaggiate e spassosamente rivoltate.

Non bisogna però pensare a un film solo derivativo: il gioco delle citazioni è forte ma non diviene mai scoperto o fine a se stesso, e Garrel riesce a piegarlo con abilità alla propria visione e alle proprie necessità. Orfano nella sceneggiatura del fido Jean-Claude Carrière ma aiutato dallo scrittore noir Tanguy Viel e da Naïla Guiguet, Garrel, come il suo Abel, decide di spingersi oltre la  zona di comfort e di fare un fortunato salto nel vuoto.

Con L’innocente realizza così il suo film più maturo e il meglio costruito, il più sorprendente e autenticamente divertente, dimostrandosi capace di portare avanti la narrazione con una leggerezza e una precisione che diviene stile, maneggiando i generi con sapienza e tenendo sempre vivo l’interesse per il destino dei personaggi (tutti perfettamente disegnati e altrettanto ben recitati da un cast molto affiatato).

Tra un pedinamento e un inseguimento, tra piani criminali minuziosamente organizzati e facilmente sventanti, il film è anche una sottile analisi dell’amore e delle sue insidie, e un'esaltazione del coraggio dei sentimenti. Un gioco delle parti dove i confini netti tra realtà e finzione, tra bugie e verità – e infine anche tra giusto e sbagliato – si fanno via via più sfumati, mettendo in crisi i punti fermi dello spettatore e quelli del suo spaesato protagonista.

Perché dalla precipitosa serie di disavventure che ha involontariamente innescato e in cui suo malgrado finisce coinvolto, il nostro Abel ne uscirà rinnovato, privo delle certezze con cui era partito ma nuovamente aperto alla vita. Forse un po’ meno innocente, ma sicuramente più felice. E più umano.