Il cine-occhio, il cui titolo è La vita colta sul fatto, non è che la prima serie di un progetto rimasto incompiuto per mancanza di fondi: altri film, ugualmente denominati Il cine-occhio, dovevano scaturire dall'interrogazione del medesimo materiale visivo per giungere a differenti esiti concettuali, diventando insomma film che producono film.

Per Dziga Vertov, una cinematografia realmente di massa non è soltanto destinata alla collettività, ma realizzata dalla collettività stessa, cioè dal maggior numero possibile di Kinoki. L'analisi, l'elaborazione e la strutturazione del girato costituiscono una prassi politica, un'attività propedeutica allo sviluppo di forme e temi che siano espressione di una nuova verità. È questa la strada per la kinefikacija, la cinematizzazione che deve restituire la vista alle masse, ottenebrate da una struttura borghese del mondo e del cinema.

Rifiutando categoricamente di allinearsi a vecchie pratiche cinematografiche, Vertov gira Il cine-occhio senza ricorrere ai teatri di posa. Elimina soggetto e attori, ma non può rinunciare alla manipolazione delle immagini: infatti, se l'occhio non umano della macchina da presa è l'occhio della materia, è proprio nel momento in cui si salda al montaggio, operazione sommamente umana, che si innesca il procedimento dialettico, fine ultimo della pellicola. Accedendo a un ordine sovra-umano, il cine-occhio permette dunque - almeno idealmente - di moltiplicare all'infinito i punti di vista portando alla luce le leggi della materia, fermo restando che la verità da ricercare non ha nulla a che vedere con una mimesi del reale, ma consiste nella decifrazione comunista della realtà.

La critica ha assegnato diverse etichette al film, che, costituendo soltanto l'input di una trattazione più complessa, ha una struttura per certi versi arbitraria e disorganica: film documentario, film impressionista, film sperimentale, etichette più o meno ragionevoli che non esauriscono l'intento dialettico, rimasto evidente, tuttavia, soltanto negli scritti del regista.

Per quanto l'appello ai Kinoki non abbia condotto ai risultati sperati e la ricerca di Vertov sia stata progressivamente ostacolata nel corso degli anni Trenta e infine frustrata, i suoi film e le sue teorie sul cinema sono state e continuano ad essere un contagioso richiamo capace di ispirare differenti riletture, dal cinéma vérité al found footage, oltre a quella più fedele del Godard politico.