Autore di cortometraggi premiati a festival nazionali e internazionali, Craig Boreham è stato definito dal Guardian come una delle più convincenti voci del panorama cinematografico queer australiano in occasione del suo primo lungometraggio Teenage Kicks (2016). Questa seconda opera, Lonesome (2022), ne conferma l’originalità: Boreham ritorna ai temi della colpa, della scoperta della sessualità e dell’affettività, della lealtà/tradimento dei legami famigliari ed etnici già presenti in Teenage Kicks, declinandoli nello spazio urbano di Sidney e rendendo sempre più esplicita la componente sessuale. L’efficace fotografia di Dean Francis aggiunge, inoltre, una interessante ricerca estetica sulla luce cinematografica che contribuisce a ridefinire l’iconografia del cowboy e che avvicina Lonesome alle recenti opere di Barry Jenkins in cui la narrazione è definita tanto dal contenuto che dalla forma.

Casey è un giovane cowboy in fuga dalla famiglia e dalla fattoria della provincia australiana in cui è cresciuto: uno scandalo di natura sessuale con un uomo sposato lo ha reso persona non grata ai suoi stessi genitori. Arriva a Sydney passando per autostop e sesso occasionale negli autogrill, senza soldi né un posto dove stare, che il ragazzo trova di notte in notte fermandosi negli appartamenti in cui arriva per incontri di sesso occasionale grazie ad una app. In uno di questi appuntamenti conosce Tib, coetaneo, figlio di una migrante con problemi di permesso di soggiorno: tra i due, anche nel tentativo di aiutarsi a vincere i propri fantasmi, nasce qualcosa di diverso oltre l’iniziale, sfrenato sesso occasionale. Il peso del passato e il senso di tradimento e colpa che entrambi provano, tuttavia, rendono difficile esprimere e accettare la vulnerabilità delle proprie emozioni.

Boreham rilegge il mito del cowboy in chiave queer, rendendo più esplicito rispetto ai punti di riferimento tradizionali costituiti da Un uomo da marciapiede (1969) e Brokeback Mountain (2005), la componente sessuale della relazione e della stessa identità dei due uomini che sono pronti a sperimentare diverse situazioni anche al di fuori dal loro rapporto, dal sesso a tre a quello a pagamento. La coppia formata da Casey e Tib rappresenta un meticciato in cui anche il cowboy autoctono è già in partenza altro rispetto agli standard di mascolinità del proprio paese d’origine ed incontra un soggetto migrante, portatore di alterità etnica oltre che sessuale. Come in altri film di questa rassegna cinematografica del Gender Bender, Lonesome gioca anche, fin dal titolo, sul contrasto tra un mondo dove si è tutti sempre più connessi gli uni agli altri e il senso di solitudine che questo tipo di iperconnessione e di reperibilità completa attraverso cellulare può generare.

Le cromie della fotografia di Dean Francis, oltre alla fisicità della recitazione degli attori, contribuiscono a dare al film il suo fascino: la luce del sole che crea quasi una sovraesposizione nei momenti in cui Casey si pensa ancora nella sua campagna di origine contrasta con i toni da luce al neon con cui Sydney viene ripresa. L’illuminazione della città, fin dalla prima inquadratura in cui Casey osserva lo skyline, è artificiale e allude alle zone d’ombra e di isolamento che sono presenti anche nella promessa di emancipazione del tessuto urbano.