Prefettura di Wakayama, Giappone, 2002. Love Disease di Kota Yoshida si apre con le urla di una donna causate dall'imminente nascita del suo bambino. Stacco: ci troviamo a casa della donna, Emiko, che scherza con il bimbo appena nato venendo poi costretta a consumare un rapporto sessuale da parte di quello che dovrebbe essere il padre. Da un lato, la bellezza di una nuova vita e dall'altro, lo squallore di chi vi è dietro.
Un esordio del genere, due sequenze parallele ma dissonanti in ciò che vogliono trasmettere, immette lo spettatore nel gelo della vicenda che Yoshida vuole raccontare: la storia di Emiko che comincia a frequentare una chat online per guadagnare soldi, inizialmente per pagare dei debiti prendendoci, nel breve giro di qualche mese, gusto adescando un uomo ancora più solo e debole di lei per il quale, dal rapporto con la donna, avrà inizio un percorso di assoluto non ritorno.
Il taglio che il cineasta giapponese dà alla storia è abbastanza particolare, alternando momenti di quiete e pacatezza con altri più cruenti, forti e anche disturbanti, a tratti, come la scena in cui Emiko sottomette in pubblico il ragazzo adescato nella chat online, costringendolo a mettersi a quattro zampe e a leccarle i piedi, in pubblico. Un momento che lascia trapelare non solo la disperazione e la totale mancanza di sostegno psicologico di Emiko, ma anche la solitudine, abbandonata a sé stessa in primo luogo dai familiari. E la solitudine della donna non è altro che la contrazione del senso di isolamento e alienazione proprie di tutta la società contemporanea giapponese, con la preponderanza della tecnologia e la freddezza dei rapporti sentimentali e sessuali, ripresi dal regista nella maniera più puntuale e aderente possibile alla realtà.
Love Disease è un'opera nuda e cruda, una parentesi impietosa sulla brutalità di un determinato spaccato sociale, con una sequenza finale montata magistralmente, mostrando, in un certo qualche modo, due diverse declinazioni della violenza e un'inquadratura conclusiva che fa da controparte all'inizio del film nel binomio vita-morte che lo attraversa integralmente.