Mentre Mina canta le malinconiche noti di Città vuota, sullo schermo scorrono i titoli di coda di Luca, lungometraggio di esordio di Enrico Casarosa e fresco di distribuzione online (ahinoi) sulla piattaforma Disney+. I credits di questo film costituiscono una sorta di continuazione, una sorta di sequel rispetto alle avventure narrate nell’opera. Se infatti si presta attenzione ai disegni che decorano i nomi di tutte le maestranze adoperate nella produzione della pellicola, noteremo come l’amicizia tra Luca e Alberto sia effettivamente andata avanti a distanza, grazie a una corrispondenza epistolare “imposta” dai genitori del protagonista. Ma non solo, il primo sembra entusiasta dei suoi studi a Genova, di imparare nuove discipline e sperimentare quanto più possibile per soddisfare la propria curiosità; il secondo, dal canto suo, ha trovato la giusta dimensione a Portorosso, aiutando il granitico Massimo e scorrazzando per le vie della città.
Questa idea di continuare la narrazione del film anche quando ci troviamo, letteralmente, ai fanalini di coda, è la grande intuizione che Casarosa espleta nel finale, ma cova lungo tutto il minutaggio del suo lavoro. Luca è infatti un progetto che vive oltre alle apparenze, in un sostrato nascosto nell’ombra della luce sprigionata dalla celebre lampadina della casa di produzione alla quale appartiene. Luca è un film di Enrico Casarosa più che un film Pixar e, come tale, non ambisce a perseguire la strada intrapresa dalla casa di Emeryville nei suoi primi venticinque anni di attività cinematografica, ma prova a guardare da un’altra parte, verso nuovi orizzonti.
Così, l’incredibile amicizia nata tra i due mostri marini Luca e Alberto è solamente la pretesa per tuffarci nel passato, all’interno della memoria del regista. Infatti, con tutte le virgolette del caso, Luca è un film autobiografico, che narra il carattere curioso e creativo di un ragazzino alle prese con un’esteta indimenticabile dove imparerà a non temere di mettere in mostra la sua unicità e superare paure ed esitazioni. Casarosa appartiene a Genova, ma la sua passione lo condurrà solamente ventenne negli Stati Uniti dove, passo dopo passo, finirà appunto alla regia di un film prodotto dalla più importante e ambita casa di produzione animata al mondo. Luca è quindi una sorta di diario di bordo, o meglio, un album di ricordi che il regista prova a mettere in scena con gli occhi di se stesso bambino.
L’Italia cartoonizzata da Pixar non è allora un’Italia stereotipata (un po’ di luoghi comuni in effetti ci sono, ma fa parte del gioco), quanto un’Italia ricostruita a cominciare dai ricordi del regista, dalle sue sensazioni e dalle sue emozioni di quando era ragazzo. Forte di questa componente personale molto accesa, Luca è quindi un film da riscoprire al là delle semplici apparenze. Vero, abbiamo a che vedere con un progetto meno ambizioso, più semplice e lineare rispetto al canone Pixar (soprattutto degli ultimi anni), eppure si tratta di un lavoro ben conscio dei propri limiti. Casarosa costruisce e abita la sua dimensione senza provare ad ambire altrove. Sa bene quello che vuole raccontare, l’autenticità della sostanza alla base del suo lavoro, e su quella si concentra focalizzando tutte le sue energie.
I colori, i sapori, gli scorci liguri, la Vespa, il gelato, il pallone da calcio, Mastroianni, i pescatori e la corsa in bicicletta sono il sostrato alla base del percorso artistico di Casarosa, così come sono la struttura all’interno della quale vive Luca. Lontano dai riflettori della lampada, lontano dalle riflessioni pre/post mortem, lontano da subconsci o altre dimensioni. Luca parla di amicizia, di estate e di infanzia, tre elementi che tutti abbiamo conosciuto e che continuano a vivere anche dopo che li abbiamo superati. Proprio come il legame tra Alberto e Luca, che continua sui titoli di coda.