“Il sogno è il primo genere letterario dell’umanità. Nel sogno siamo registi, attori e spettatori delle vite immaginarie che ci sono state narrate e di quelle che andiamo a comporre”, questo è l’incipit con cui si apre L’uomo con la lanterna di Francesca Lixi, vincitore del Premio Corso Salani al Trieste Film Festival 2018, una frase del filosofo Remo Bodei che vuole chiarirci con quale sguardo la regista abbia provato a dare forma alla vita di suo zio Mario Garau, bancario cagliaritano che dal 1924 al 1935 si ritrova a lavorare per l’Italian Bank for China a Tientsin e Shanghai.

Zio Mario è un uomo taciturno e non parla con nessuno degli anni trascorsi in Cina e nemmeno dei suoi lunghi viaggi intorno al mondo, il suo racconto è affidato ai mezzi con cui registra i suoi spostamenti, gli incontri e i principali eventi di cui sembra essere un attento testimone. Francesca Lixi, non ha fatto in tempo a conoscerlo, è ancora una bambina quando, dopo la sua morte, apre per la prima volta i bauli che contengono la memoria visiva dello zio, a quell’età sono soprattutto i cimeli esotici, le fotografie e le pellicole 8mm ad interessarla, affascinandola a tal punto da influenzarne le scelte future.

Mario Garau diventa un avventuriero, una spia e un donnaiolo, la Lixi cresce nutrendosi di queste fantasie, a un certo punto però la vita immaginaria di suo zio, così avvincente e misteriosa, sembra chiedere un doveroso confronto con la realtà.

Dai bauli riemerge anche la fotografia di un uomo con una lanterna cinese, e se durante l’infanzia la Lixi lo immagina guardiano degli scrigni e guida che rischiara un passato sepolto, con il disincanto dell’età adulta non può che rinvenirvi un sinistro presagio così ben spiegato dal proverbio cinese “accendere la lanterna per un cieco”, ovvero fare una cosa inutile. Avvicinarsi alla verità interpretando gli indizi lasciati in eredità dallo zio Mario non può che trasformarsi in una battaglia persa in partenza: “Nelle notti dell’altro avanziamo ciechi, stringendo una lanterna, che solo ci inganna”.

L’oggetto della ricerca si fa sempre più sfuggente, “di zio Mario si parlava sottovoce”, spiega la regista, i familiari ne sanno quanto lei, lentamente inizia a riaffiorare una storia lacunosa e contraddittoria, molte le ipotesi ma poche certezze. Se da una parte la ricostruzione della vita privata dello zio vacilla, dall’altra i materiali conservati nei bauli chiedono a gran voce di poter raccontare un capitolo poco conosciuto della storia dell’imperialismo in Estremo Oriente, un passato rimosso che trova nelle Concessioni Internazionali la risposta a numerosi quesiti.

A Tientsin zio Mario vive nella Concessione italiana ottenuta dal Regno d’Italia nel 1902 dopo la spedizione internazionale per la rivolta dei Boxer; oggi è diventata l’Italian Style Town, un pezzo di storia riveduto e restaurato che dopo 40 anni di occupazione risulta essere il frutto di un’amichevole collaborazione tra Italia e Cina (!). Mario Garau è un privilegiato come tutti gli italiani che si trovano a vivere a Tientsin, una vita agiata allietata da feste e numerose “signorine”, così definite nei suoi taccuini, e tra le tante spicca Madeleine Chang, la figlia del console cinese a San Francisco.

Le incognite e le innumerevoli interpretazioni non fanno che accentuare l’impatto delle storie di zio Mario sulla nipote che più volte tenta di condividere con gli altri la sua magnifica ossessione, ed è grazie all’incontro con la casa di produzione Kiné, spiega Francesca Lixi, e alla stesura della sceneggiatura assieme a Wu Ming 2, entrambi interessati all’intervento sulle immagini di repertorio, si pensi al progetto Formato Ridotto (2012), che finalmente l’esploratore, la spia, il bancario Mario Garau può essere raccontato attraverso un documentario in cui si condensano tutti i frammenti di un’esistenza particolare divenuta un tassello importante della storia del nostro paese.

L’archivio del misterioso zio Mario si mostra davanti ai nostri occhi, la Lixi propone un interessante intervento di manipolazione di materiale preesistente, fondamentali in egual misura la digitalizzazione delle pellicole, realizzata da Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia, l’animazione in stop motion di Michela Anedda, attraverso la quale riviviamo lo stupore provato dalla regista bambina di fronte ai tesori contenuti nei grandi bauli, e la ricerca musicale curata da Rossella Faa che ripropone le canzonette, i brani di musica classica e jazz annotati dallo zio sui taccuini.

Anni di lunghe indagini hanno dato origine a differenti percorsi confermando il significato del proverbio cinese “accendere la lanterna per un cieco”, ma, conclude Francesca Lixi, “per quanto sia dolce comprendere gli altri non è possibile renderli trasparenti, si vive bene anche senza conoscersi in ogni anfratto, lasciando a ciascuno i suoi luoghi oscuri”.