È un film nato quasi per caso, Marito e moglie. Movie-movie sul modello di L’amore di Roberto Rossellini, cioè due mediometraggi messi insieme in virtù di un largo tema comune, recupera un episodio, pensato da Eduardo per il collettivo italo-francese I sette peccati capitali e poi sostituito da un altro, e lo accompagna all’adattamento di un atto unico scritto dallo stesso commediografo circa vent’anni prima. Per l’occasione, la proiezione di Marito e moglie è stata anticipata proprio da Avarizia ed ira, lo sketch scritto e diretto da Eduardo per l’antologia sui vizi, quasi a voler costituire un ideale trittico sulla vita coniugale. Ma se questo, interpretato da uno spregevole Paolo Stoppa e Isa Miranda, nome forse spendibile per il mercato francese, è una parabola nera ma nel solco di quella vena umoristico-morale che attraversa anche Ragazze da marito e che avremmo ritrovato al meglio in Napoletani a Milano, è Marito e moglie a sconcertare per nascosta grandezza.

Esito massimo del cinema di Eduardo, evidenzia l’attitudine per il racconto breve e la sintesi di un regista sì ambizioso ma per certi versi mai del tutto a suo agio col mezzo, che infatti dopo anni attivissimi per motivi alimentari (tra il 1950 e il ‘54) ha frequentato con molta cautela. E invece questo dittico lo rivela regista sommo, soprattutto per la ferocia di uno sguardo che non si accontenta dell’ovvio, costeggia la follia e affronta di petto il versante oscuro del disincanto.

Il primo, tratto da Guy de Maupassant, è quasi sicuramente il suo capolavoro, ambientato in un contesto rurale dove brulica un’umanità ignorante ma briosa. Protagonisti sono un uomo costretto a letto per una paralisi alle gambe e sua moglie, che non lo tollera più perché lo considera un approfittatore interessato solo a mangiare. Il loro ménage, fatto di disprezzo ed esasperazione, cambia quando lei lo costringe a covare uova. Spunto assolutamente folle, perfino coraggioso non solo per la crudeltà del soggetto ma anche per il modo spietato con cui viene raccontato un matrimonio terribile, con dinamiche violente e suggestioni orrorifiche che potremmo rintracciare nei futuri Baby Jane, Misery non deve morire o La guerra dei Roses.

Davvero un ufo per il cinema italiano, qualcosa di inaudito di cui forse lo stesso Eduardo non era consapevole. Peraltro perfetto, come attore, nel subire le angherie della clamorosa Tina Pica, che scopriamo via via sempre più mostruosa in primi piani che somigliano a quelli che hanno reso famosa Lina Wertmuller: incredibili la lotta con la bambina, la faccia sporca di fango, i denti storti, gli occhi quando si accorge della mollica di pane tra i baffi del marito. C’è della misoginia? Il registro è grottesco, non è quello il punto.

Più mite ma solo in apparenza il secondo capitolo, dove la coppia formata da Eduardo e Titina De Filippo non riesce a comunicare, bloccata da qualcosa che ha a che fare con la noia, la paura, il tempo che passe, le aspettative del passato che non corrispondono alla realtà. Quasi un palinsesto di Sabato, domenica e lunedì. La tensione, sottilmente rappresentata dalla presenza perlopiù defilata di Titina (ma che strazio quello sguardo verso il figlio “che è stato male da piccolo” e mai conoscerà l’amore), esplode nel finale di una storia che sembra parlar d’altro e invece non ha mai dimenticato il suo obiettivo: mettere in scena una crisi, un trauma, una rottura.