Montatore noto soprattutto per le numerose collaborazioni con Spike Lee nonché affermato documentarista, Sam Pollard ha da sempre ripercorso con il suo cinema vicende individuali e collettive che rappresentano capitoli portanti della storia nazionale afroamericana. Martin Luther King VS FBI persegue il medesimo intento, venendo a omaggiare una figura essenziale della politica e della società statunitense inspiegabilmente trascurata da Hollywood.

Basato sui documenti dell’FBI recentemente de-secretati in attesa che altro materiale venga reso pubblico nel 2027, il lavoro di Pollard ricostruisce con cura minuziosa le forme di spionaggio e ricatto che l’ufficio federale ha adoperato ai danni del leader nero per comprometterne l’immagine pubblica e delegittimarlo.

È noto come l’allora direttore J. Edgar Hoover forzasse i limiti operativi del suo ente al fine di creare dossier da utilizzare al momento opportuno contro chiunque fosse considerato una minaccia per l’ordine costituito, in particolare militanti o semplici sostenitori di ideologie politiche opposte al liberalismo statunitense. Dopo la “minaccia rossa” degli anni Cinquanta, nei Sessanta sono i principali leader afroamericani a venire perseguitati dagli agenti federali impegnati a impedire con ogni mezzo la nascita di un “Messia nero” capace di guidare il proprio popolo al ribaltamento delle gerarchie sociali in atto allora.

Già da tempo i materiali su Malcolm X e i principali esponenti delle Black Panthers hanno dimostrato pratiche illegittime di sorveglianza e creazione di prove false o forzate a loro danno. Così è per MLK col quale – esclusa ogni simpatia comunista – l’operazione di Hoover si sposta sulla sfera intima prima ricattandolo poi diffondendo particolari della sua vita sessuale, ieri come oggi aspetto più compromettente di altri per i personaggi pubblici di una società fortemente condizionata dal retaggio puritano protestante.

Attraverso interviste e materiale di repertorio, Pollard evita però facili conclusioni che additino l’FBI come ente rinnegato. Piuttosto Hoover, auto-elettosi paladino del sogno americano, ha usato il suo Bureau quale strumento d’ordine rappresentante di una precisa matrice politica di cui ha interpretato la visione di società bianca e conservatrice basata su gerarchie razziali e di genere. Ma come sostiene il regista “ciò che Hoover e l’FBI hanno fatto non dovrebbe essere considerato come qualcosa accaduto nel passato: i servizi segreti ricorrono tutt’ora a tali metodi come quelli per indebolire e danneggiare persone e organizzazioni. Danno l’impressione che distruggeranno l’idea della democrazia americana”.

MLK/FBI assume allora una valenza ulteriore, uno sguardo sul passato che funziona da allerta per il presente, ruolo a cui la cultura dovrebbe sempre almeno ambire.