Nel cinema francese di fine anni Venti c’è un piccolo spazio dedicato al film indipendente e sperimentale di matrice tendenzialmente impressionista. Indagando meglio tra nomi come Jean Epstein, Abel Gance e Louis Delluc, spunta il caso di Dimitrij Kirsanoff (nato Markus David Kaplan), autore di origine estone destinato a lasciare negli ultimi anni di cinema muto una traccia lieve, ma indelebile. Violoncellista e, occasionalmente, orchestrale, Kirsanoff impara in Francia il mestiere del cineasta, dopo essere fuggito dalla terra natia intorno al 1920. Non si avvale della collaborazione di nessuna casa di produzione o di grandi nomi, scrive da sé i soggetti, si occupa del montaggio e predilige un metraggio medio-basso, una distribuzione ridotta e l’impiego di attori perlopiù sconosciuti.

Il legame che segna indissolubilmente la breve ondata di produzioni mute di Kirsanoff, poco prima di essere travolto dal sonoro e, di conseguenza, dimenticato, è quello con la musa Nadia Sibirskaïa (Germaine Marie Josèphe Lebas), le cui informazioni biografiche rimangono ad oggi avvolte nel mistero. Gli unici titoli degni di nota e di maggior spicco sono proprio le partecipazioni ai film di Kirsanoff, tra cui Sables (1927), Destin (1927) e Brumes d’Automne (1929), dopodiché, con l’arrivo della Seconda Guerra Mondiale, la sua carriera si interrompe, complice anche il periodo di prigionia a Fresnes, per aver aiutato un gruppo di persone clandestine a nascondersi dalla Gestapo.

Osservando i primi e primissimi piani delicati e ben proporzionati della Sibirskaïa in Ménilmontant, non è difficile comprendere come, per molto tempo, la critica dell’epoca paragona l’attrice a volti come quelli di Lillian Gish o di Alla Nazimova, applaudendola per il suo stile recitativo naturale. Lo sguardo di Kirsanoff, oltre a riportare vedute fumose e perlopiù autunnali di Parigi (insieme ad un’innegabile capacità di restituire una certa atmosfera à la roaring twenties), è visibilmente poetico nel descrivere il dramma famigliare e amoroso di due sorelle orfane, in perenne attesa e ascolto in mezzo ai tortuosi vicoli del quartiere Ménilmontant.

Elementi come l’acqua della Senna, le gocce di pioggia, i rami degli alberi, il fango e il vento sostituiscono totalmente le didascalie, per lasciare spazio alla sola interpretazione e al solo montaggio, una morbida e naturale, l’altro serrato e furibondo, così diversi e così bilanciati.