Quattro capitoli, tre tempi, due nemici, una vita. Seguendo questo schema Paul Schrader realizza un film complesso, enigmatico e seducente come il suo protagonista, il controverso scrittore nascosto dietro lo pseudonimo di Yukio Mishima. Nella sua struttura essenziale Mishima – Una vita in quattro capitoli è suddiviso, come suggerisce il titolo, in quattro parti, ognuna delle quali racconta un segmento della vita dello scrittore insieme alla messa in scena di altrettanti suoi libri.
Nei primi tre vediamo prendere vita rispettivamente i romanzi Il padiglione d’oro, La casa di Kyoko e Cavalli in fuga, ma ne figura anche un quarto, non esplicitato, che permea tutto il film. Si tratta di Confessioni di una maschera, romanzo autobiografico da cui sono tratte parte delle sequenze sull’infanzia, le considerazioni sull’accettazione dell’omosessualità e il tema della maschera. Un’ ulteriore partizione narrativa riguarda la suddivisione in tre linee temporali stilisticamente distinte: il passato dello scrittore, in un bianco e nero particolarmente espressivo, il presente, cioè il suo ultimo giorno di vita (25 novembre 1970), che apre e chiude il film in uno stile più realista, infine un tempo irreale, mai esistito ontologicamente ma contemporaneamente consegnato all’eternità, quello della letteratura, cui sono dedicati i momenti più onirici e suggestivi del racconto.
Tematicamente, invece, Schrader mostra il conflitto interiore del protagonista, un animo infranto che oscilla fra coppie di polarità antitetiche impossibilitato a sintetizzarle. Lo scopo ultimo della vita e della letteratura di Mishima sta nell’unione di arte e vita, bellezza e fisicità, nell’ avvicinare le parole “capaci di cambiare il mondo” e il mondo “che non ascolta le parole”. Rigore e pulsione, infine, si scontrano come nemici. Da un lato la visione tradizionalista e nazionalista, il culto dell’imperatore e del bushido (il codice dei samurai), dall’altro il desiderio sessuale mai esplicitato ma sempre latente (nel film sono infatti presenti ben poche figure femminili). Da questi scontri nasce irrimediabilmente la scissione del protagonista, "uno, nessuno e centomila", che di volta in volta indossa la maschera più adatta senza mai manifestarsi completamente.
Nella morte, altra ossessione dell’opera di Mishima, risiede la speranza nella pace, nell’eterna unione del diviso. Nessuno dei primi tre capitoli finisce, come invece dovrebbe, con la morte dei personaggi dei romanzi, che viene invece mostrata dopo il suicidio dello scrittore, in un finale che ha il sapore dell’apoteosi, della liberazione. Una vita colta in tutte le sue contraddizioni, in una complessità irriducibile a biografia. In questa opera si raggiunge la perfetta sintesi tra forma e contenuto, tra segmentazione e flusso (le sequenze tratte dai romanzi non sono solo intervallate con quelle biografiche, spesso sono raccordate), per raccontare un uomo che ha sempre cercato di unire arte e vita, riuscendoci forse.