C’erano una volta, nella buona vecchia Inghilterra non ancora toccata da Beatles e minigonne, le indimenticabili commedie Ealing. Piccoli gioielli di humour nero e cinico che, da Sangue blu a La signora omicidi, hanno saputo mostrare quanto potevano essere pericolose le buone maniere, le aspirazioni, i vezzi del popolo di Sua Maestà. Da allora in molti hanno tentato di eguagliarne la formula perfetta, di ritrovare lo steso equilibrio tra eleganza e cattiveria, tra orrore e quotidiana tranquillità, senza mai riuscire nell’intento. Ci prova anche l’esordiente Tom Edmunds, regista esordiente e sceneggiatore di Morto tra una settimana (o ti ridiamo i soldi), presentato in anteprima italiana alla Festa del cinema di Roma. Il risultato è un’irriverente black comedy sulla banalità della morte e l’eccezionalità della vita.

Il giovane William (Aneurin Barnard), scrittore non pubblicato e bagnino inutile di una piscina dove non affoga mai nessuno, è ossessionato dall’idea del suicidio. Per dieci volte (anche se tre erano solo per finta) ha tentato di togliersi la vita, purtroppo sempre senza successo. L’incontro con Leslie gli dà l’opportunità di realizzare il suo obiettivo: l’anziano gentiluomo è infatti un assassino, regolarmente iscritto ad una seria e organizzata associazione di professionisti. Firmato il contratto che gli assicura la tanto agognata dipartita, la vuota esistenza del ragazzo prende una piega inaspettata: trova un editore e una ragazza che si innamora di lui. William vorrebbe tirarsi indietro, ma per Leslie, restio ad andare in pensione nonostante le insistenze del suo capo e della moglie, onorare il contratto diviene un’inderogabile questione di principio.

Per tenere la ricetta Ealing a passo con i tempi il regista sceglie di premere sul pedale dell’azione e del paradosso, riuscendo comunque a trovare una misura e un ritmo non comuni. Anche se il nocciolo del film si dimostra alla fine più morbido e meno corrosivo del previsto, la sceneggiatura sfodera un umorismo caustico che gioca benissimo la carta del contrasto comico tra la pragmatica del popolo britannico e la follia della storia raccontata. Al centro della vicenda, più che lo straniato suicida, c’è l’assassino Leslie (il veterano Tom Wilkinson), combattuto tra il suo lavoro fuori dal comune e un tranquillo ménage matrimoniale tutto tè, centrini ricamati e partite di bridge.

Un angelo della morte con l’aspetto da impiegato che riesce a far comprendere al protagonista l’importanza della vita, come in una sorta di ribaltamento al vetriolo di La vita è meravigliosa di capriana memoria. A fare da spalla all’appassionato omicida c’è la deliziosa e britannicissima moglie (Marion Bailey, attrice prediletta di Mike Leigh), amante del ricamo e dell’ispettore Barnaby ma per niente sconvolta dall’insolita occupazione del marito, anzi pronta a venirgli in soccorso con un bel coltellone da cucina qualora dovesse servire. L’importante è che il sangue non sgoccioli sul tappeto e non macchi il centrino del tavolo. O peggio finisca nel tè.