In occasione delle celebrazioni felliniane, proseguiamo con la pubblicazione di alcuni estratti di articoli che scrittori, poeti e intellettuali hanno dedicato al Maestro e al suo cinema, contenuti nel fondo Calendoli.

In quest’atmosfera da cinema catastrofico in cui siamo immersi, il passo verso altri mondi è breve. L’articolo, apparso su Epoca, il 29 novembre 1964, del giornalista e scrittore Nantas Salvalaggio ci conduce sul set di Giulietta degli spiriti (1965) in cui prendono forma i fantasmi di Fellini; attraverso la propria moglie - che in questo film fa rivivere l’amatissimo personaggio di Gelsomina che da La strada (1954) viene catapultata all’interno di un universo fatuo e borghesissimo - il Maestro compie un esorcismo contro la paura dell’abbandono e per estensione della morte. Il fondatore del periodico Panorama, come gli altri letterati preso nella rete del grande affabulatore romagnolo, deve farne un ritratto, con divertita ironia e un pizzico di mistero.

Dopo i successi planetari di La dolce vita (1960) e di 8 ½ (1963), il camaleontico regista perennemente in crisi si trova alla fine di una parabola e all’inizio di una nuova. Nella prima metà degli anni Sessanta, Federico strinse una profonda amicizia con lo scrittore Dino Buzzati; molti anni prima fu enormemente colpito dal suo racconto, pubblicato a puntate nel 1938 su Omnibus, Lo strano viaggio di Domenico Molo, in cui un giovane muore e per tornare alla vita, deve compiere – come Dante - un percorso rituale nell’aldilà. Questo è il germe da cui Fellini partì per scrivere, con la collaborazione di Buzzati e in seguito di Brunello Rondi, Il viaggio di G. Mastorna che non sarà mai realizzato, ma come un fantasma aleggerà in tutta la sua successiva produzione.

Giulietta degli spiriti ne è per un verso un’anticipazione e per l’altro, rappresenta una perfetta epifania che si manifesta nella chiusura burrascosa della collaborazione con lo sceneggiatore Ennio Flaiano (più serena con Tullio Pinelli) e la fine del sodalizio con il produttore Rizzoli; è anche l’ultimo film con l’amico e direttore della fotografia Gianni Di Venanzio che scomparve nel 1966. La tragica conclusione del suo rapporto con lo psicanalista junghiano Ernst Bernhard, morto nel giungo del 1965, a pochi mesi dall’uscita del film, disegna un ideale cerchio. Ma il nuovo Fellini è già arrivato; quest’opera apre la stagione dei sogni lisergici a colori.

 

Fellini ha un tavolino che balla

di Nantas Salvalaggio

 

Il tono del dialogo si impennò, parve preludere a una rissa. Nell'atmosfera un po' irreale del teatro di posa, tra la villetta liberty e i tronchi delle querce finte, Federico Fellini si divincolava da un ometto basso e tetro, con la voce cavernosa, che cercava di trattenerlo. "Basta, rompiscatole, lasciami perdere!", tagliò netto il regista; e sotto i fari abbaglianti, calpestando l'erba posticcia del parco, tornò alla macchina da presa, agli attori che erano pronti per la scena della magia.

"Ma allora Fellini è un duro!", bisbigliò in estasi una reporter americana a un paio di comparse. Le dovettero spiegare con pazienza che non c'era vero livore in quel battibecco, era una finta lite che si ripeteva almeno dieci volte al giorno. L'ometto cupo, dalla voce di basso profondo, è un ex pugile, ginnasta, proprietario di una palestra, che idolatra Fellini come un Budda e lo vuole ritemprare con la ‘dieta dell'artista’ di sua invenzione. Naturalmente Fellini si è affezionato al personaggio, non c'è dubbio che si diverte a girovagare tra Roma e Fregene con il ‘dietista’ privato, allo stesso modo che l'imperatore Carlo V si accompagnava al suo orologiaio personale. [...]

Un distributore americano ha raccontato scherzando, in un'intervista a un giornale di Filadelfia, che Fellini ha preso da lui l'idea di Giulietta degli spiriti. In realtà il distributore aveva soltanto inviato a Fellini un pacco di lettere di spettatori americani, che dai paesi più remoti del Nuovo Messico e dell'Alabama, della California e del Massachusetts, chiedevano da mesi e mesi notizie di Gelsomina. Questo patetico personaggio del film La strada, che in certe regioni degli Stati Uniti è entrato nelle favole per ragazzi, ritorna periodicamente nei cinema di periferia: si vede che conserva intatta la sua suggestione. Ma gli spettatori americani vogliono qualcosa di più, vogliono il seguito, come nelle saghe dei romanzieri. Così faceva Faulkner. "Perché Fellini abbandona le sue creature?", ha scritto una studentessa del Vassar College.

Fellini allora pensò che in fondo è vero, Gelsomina è una maschera, un personaggio vivo che va per conto suo. Non importa se sta in un circo, o in una casa borghese. Che ami l'uomo-scimmia, o il raffinato dandy delle pubbliche relazioni, il suo cuore rimane semplice, come certe creature di Maupassant. Giulietta degli spiriti è appunto una donna sensibile, in balia delle cose più grandi di lei, che all'improvviso s'accorge che il marito le sfugge. [...]

Anche questo ha la sorte degli altri film di Fellini. Se ne discute polemicamente quando il regista è ancora a metà strada. I ‘fantasmi’ di Giulietta sono guardati contro luce, auscultati, pedinati. Qualche monsignore discreto passa velocemente sul set per appurare se il demonio sia nascosto in un trumeau, i comunisti si informano se il mondo medianico possa o non possa danneggiare la Causa. Nello stesso tempo la borghesia à la page, gli intellettuali da caffè, gli scultori ambiziosi, le pittrici mondane si dedicano con falsa passione alle dottrine esoteriche, studiano lo Zen, recitano le poesie di Mao Tse-tung, perché tutto questo "fa parte del clima ultimo, recentissimo". [...]

Mancano ancora due mesi alla fine delle riprese, il film apparirà probabilmente in febbraio. Intanto Fellini resta al centro della polemica internazionale con Otto e mezzo, targhe e diplomi gli giungono da cittadine sconosciute dell'Islanda o della Polinesia. Il suo nome, la sua opera provocano crisi ideologiche oltre il sipario di ferro. Gli agenti delle tasse lo vogliono spolpare, forse lo arresteranno, perché il Financial Times rivela quante decine di miliardi hanno incassato i suoi film. La gente normale è tentata di credere che viva da nababbo, che abbia la vasca da bagno d'oro e il rasoio elettrico tempestato di diamanti come Saud, il re deposto dell'Arabia Saudita. Nessuno sospetta che sia tra i registi che, in un anno, hanno il reddito più basso. Qualche volta fa debiti per comprarsi un quadro o un tappeto. […]

A proposito del suo autobiografismo, a volte ossessivo come in Hemingway, qualcuno ha scritto che non si capisce perché Fellini abbia resistito alla tentazione di fare l'attore come Chaplin, Clouzot, Renoir. È un'osservazione che fanno spesso gli stranieri quando lo vedono girare. Non c'è niente di più strano e affascinante di Fellini sul set. Non dirige gli attori, li ipnotizza. Li mette in trance.

L'ho visto spiegare una scena a un medium, di nome Genius, che è un po' il veggente dei quartieri alti. Genius tremava, sorrideva, sbatteva le palpebre, impallidiva, proprio come suggeriva Fellini. Era ipnotizzato. Lui, il veggente, era diventato insomma una creatura trepida, plasmabile come la farina di pane, nelle mani di Pigmalione.