Narciso in vacanza è la volontà di raccontare una storia. Nient’altro. Non si esplorano i luoghi del racconto e non ci sono filmati d’archivio: chi pensava di imbattersi in un percorso documentario “canonico” e ricco di immagini inedite troverà soltanto un uomo davanti alla macchina da presa. Quell’uomo è Caetano Veloso, uno dei più grandi musicisti brasiliani (e internazionali) di sempre. Insieme a Gilberto Gil, Gal Costa e Tom Zé, Caetano fu il fondatore del Tropicalismo, un movimento d’avanguardia musicale che nasce alla fine degli anni Sessanta, poco prima del nostro racconto. È un racconto tenuto a lungo segreto, un evento che Caetano è riuscito a mettere nero su bianco solo nel 2002 (nel suo libro Verdad tropical) e che oggi è affidato unicamente alla sua personalissima rievocazione.
Il 13 dicembre del 1968, il regime dei Gorillas brasiliano adotta la legge istituzionale AI-5, provvedimento che segna il punto più repressivo e violento della dittatura. Due settimane dopo, un gruppo di agenti in borghese si presenta in casa di Caetano Veloso per arrestare lui e Gilberto Gil. Verranno entrambi portati a Rio de Janeiro e confinati in isolamento per una settimana. Da lì vengono trasferiti in una cella per altri quarantasette giorni prima di essere costretti a un esilio lungo quattro anni. Proprio come Josef K., Caetano Veloso si trova a non conoscere le ragioni del suo arresto e il suo racconto si trasforma nell’autentico scontro kafkiano con l’arbitrarietà del potere.
Narciso in vacanza è il ritratto intimo del periodo di prigionia, rievocato unicamente dalla voce e dai gesti di Veloso. Su uno sfondo asettico — che ricorda un bunker — la sua bocca e le sue mani si muovono scandendo ricordi, riflessioni e, soprattutto, emozioni. Renato Terra e Ricardo Calil mettono al centro le memorie di Caetano nel tentativo di costruire un’“allerta”, un monito. Non un manifesto politico, ma un vero e proprio “cautionary tale”.
È il momento giusto per discutere del 1968: i documenti relativi alle vittime del regime sono stati resi pubblici soltanto due anni fa e rileggendoli, come fa Caetano nel film, possiamo pensare al negazionismo e alla confusione storica di alcuni movimenti politici attuali. Sono gli stessi movimenti che in Brasile (e non solo) apprezzano e difendono la dittatura, scrivendo nuove narrative che risemantizzano gli eventi passati e che rendono più pericolosa la società odierna. In Narciso in vacanza Caetano non parla mai al presente, ma è la scelta di filmare la conversazione senza compromessi cinematografici a rendere il racconto tristemente vivo. Anche la musica è usata con misurazione estrema: solo tre canzoni — tutte suonate da Caetano al momento delle riprese — che risultano funzionali agli eventi narrati. Come Hey Jude dei Beatles, che Caetano sentì risuonare da una radio in carcere come una sorta di buon presagio.
Non ci sono movimenti di macchina a ornare e rifinire, sono le parole di Caetano a condurci per mano nella ricostruzione. Come quando si lascia andare al ricordo commosso di una guardia che, rischiando l’arresto, lasciò entrare in cella sua moglie Dedé, o quando ride nervosamente per aver scoperto che la denuncia che lo incastrò è soltanto un insieme di “fake news”. Narciso in vacanza è uno sguardo quasi indiscreto su un uomo che non si considera né vittima né eroe, un individuo pienamente consapevole del fatto che la sua esperienza è stata meno drammatica di tante altre. Ma se nel 1968 gli artisti furono bersaglio privilegiato del regime, entrare in empatia col racconto di Caetano Veloso può servire a ribadire la diffusa ottusità dei governi nei confronti della cultura tutta. Perché Narciso in vacanza, con le sue scelte estetiche e morali e con la completa assenza di ridondanze, racconta quella distanza pericolosa tra umanità e potere che ancora oggi, tragicamente, resiste.