Narciso nero (1947) appartiene alla fase di maggior successo del sodalizio artistico tra Michael Powell e Emeric Pressburger e della Archers, la loro casa di produzione. Tratto dal romanzo omonimo di Margaret Rumer Godden, questo teso melodramma sensuale ambientato in un convento di suore in uno sperduto angolo di India ai confini dell’impero britannico, attirò l’attenzione del pubblico e della critica in patria e all’estero.

Non mancarono le polemiche da parte della cattolica Legion of Decency che, quando il film arrivò in America, riuscì ad imporre i tagli dei flashback che illustrano la vita sentimentale della protagonista, la madre superiora Suor Clodagh (Deborah Kerr), prima di prendere i voti. In generale, già il punto di partenza - un anziano sovrano locale dona ad un ordine di suore un suo palazzo conosciuto come la “casa delle donne” per le concubine che vi abitavano – doveva sembrare piuttosto problematico alla sensibilità degli anni Quaranta.

Come se non bastasse, il nuovo convento suscita tensioni con i superstiziosi locali ma anche fantasie sessuali stimolate dall’arrivo della bella Kanchi (Jean Simmons) e del giovane generale Dilip Rai (Sabu), che indossa il profumo del titolo, nonché dall’affascinante ed eccessivo Mr Dean (David Farrar), rappresentante e agente del vecchio benefattore. La sensualità che si respira nel palazzo porterà le suore a dimenticarsi della loro vocazione e trascinerà Suor Ruth (Kathleen Byron) verso la pazzia nella sua competizione con la madre superiora per le attenzioni di Mr Dean.

Gli elementi di innovazione non si limitano al livello del contenuto. Molte caratteristiche formali di Narciso nero contribuiscono all’atmosfera di fantasia sensuale dell’Impero che domina il film, ad iniziare dal fatto che l’ambientazione indiana venne completamente ricreata in studio ad eccezione di alcune scene filmate in un giardino del Sussex.

Le vertiginose scene girate intorno alla campana del convento, posta proprio al delimitare di un impressionante dirupo, come pure le inquadrature delle montagne innevate che circondano il palazzo, sono state ricostruite dalle scenografie di Alfred Junge, premiate con l’Oscar, e dalla tecnica di matte painting (pittura di sfondi) di Percy Day. Questo accentua l’atmosfera di fantasy, tanto che uno dei maggiori estimatori dei film di Powell e Pressburger, Martin Scorsese, ha definito Narciso nero come un prodotto in cui melodramma, gotico e Disney si incontrano.

Nella copia prodotta dal British Film Institute nel 2020, inoltre, i colori sfolgoranti della fotografia di Jack Cardiff, secondo premio Oscar per il film, aggiungono piacere visivo agli elementi architettonici, naturali e fisiognomici. Questi ultimi si rivelano attraverso sostenuti primi piani e dettagli del volto o del corpo: indimenticabili in questo senso sono l’alternarsi del primo piano di Deborah Kerr con le sue mani che stringono una matita mentre cerca di darsi un contegno nel colloquio con Suor Ruth o, nelle scene finali, il primo piano di Suor Ruth, ormai tornata allo stato laico, con gli occhi cerchiati di rosso e il dettaglio delle labbra con il pesante rossetto. L’estetica eccessiva di Narciso nero sarà fondamentale per una delle opere fondanti del queer, Pink Narcissus (1971).

Tutte queste caratteristiche, lette nel contesto del progressivo abbandono britannico dell’India, fanno di Narciso nero una potente narrazione sul fallimento delle fantasie imperiali di civilizzazione e di riduzione dell’Altro a soggetto esotico. Le suore, portatrici del messaggio civilizzatrice e religioso, sono infatti le prime a soccombere all’invenzione della sensualità esotica dei discorsi coloniali.