Splende il sole ma il meteo prevede pioggia. Pioverà o no? Se anche piovesse, cambierebbe qualcosa? Questi sono gli unici interrogativi che si pone Kolja, giovane abitante di una piccola cittadina congelata nel tempo, dove nulla accade se non il passaggio delle stagioni. È domenica e i residenti vivono la giornata nella più completa apatia, alcuni passeggiano senza meta, altri rimangono immobili nei loro piccoli appartamenti. Kolja è uno sfaccendato i cui sforzi di intrattenere una conversazione sono puntualmente frustrati dall’atmosfera di noia che serpeggia nell’aria. Parlando con un suo amico si lascia scappare di bocca una bugia giusto per avere qualcosa di cui chiacchierare.

Il paese di colpo si anima, saputa la novità, e gli abitanti si radunano attorno a lui, si organizzano banchetti, le donne indossano i vestiti da festa, si balla e si canta. Un cambiamento nella vita di qualcuno riaccende la speranza nel cuore di tutti. Si attaccano a quella bugia come se ne andasse del loro avvenire. Come in una novella di Pirandello, il protagonista rimane intrappolato nella maschera che decide di indossare. L’infantile perdigiorno, volendo porsi come uomo di mondo, si trova costretto a crescere e cambiare vita.

L’atmosfera surreale del racconto è amplificata dalla messa in scena, dalle leggere deformazioni dei volti ottenute con lenti grandangolari. In più di un’occasione il tono della vicenda è grottesco e i personaggi assurdamente euforici per il viaggio di Kolja, come nella scena in cui il suo migliore amico fa ruotare ossessivamente un mappamondo ed elenca tutti i nomi dei luoghi che trova, ridendo istericamente. Quando Nikolaj Dostal’ dirige questo film (1990) l’URSS sta già cominciando a disgregarsi ed è interessante notare come il racconto dell’euforia di massa causata dalla novità abbia riscosso un notevole successo in un periodo di preoccupazione per il futuro.

Forse è proprio qui che risiede la forza dell’opera, nella capacità di sorridere dell’incertezza. In tutt’altro contesto storico un altro grande cineasta sovietico, Ejzenštejn, scriveva “La qualità comica di una maschera sociale e la forza devastatrice del ridicolo sociale devono essere alla base dell’humor militante”. Ejzenštejn era un radicale, Dostal’ invece no. Tuttavia, fatte le dovute proporzioni, con questo film innalza la commedia grottesca a manifesto di una società in mutamento, a beneficio degli spettatori del suo e del nostro presente.