L’esordio cinematografico di Elie Grappe è interamente scandito da linee: che siano quelle degli strumenti utilizzati dalle ginnaste, quelle che dividono un corpo da uno schermo o quelle che demarcano i confini nazionali o politici poco importa. Le linee definiscono i corpi, i limiti invalicabili, determinano il reale, ma Olga non rientra in nessuna delle forme: mentre tutti intorno a lei sono perfettamente delineati, si ritrova in una dimensione ibrida dalla quale non riesce a fuggire. Ma se la ginnasta è nel pieno di una crisi identitaria, lo sguardo che il mondo adulto pone su di lei permette di inquadrarla come corpo da proteggere e preservare a tutti i costi dagli agenti esterni.

Attraverso una narrazione dal taglio reportistico, ai confini con il cinema del reale, Olga ricerca costantemente supporto da parte della figura genitoriale materna, giornalista dedita unicamente al contrasto del governo ucraino del filorusso Yanukovych, fino a mettere in ballo la propria incolumità. Nell’instabile Ucraina dell’Euromaidan, Ilona sceglie per la figlia un salto verso una realtà completamente difforme. Immagini di candore e grigiore scandiscono il quotidiano della protagonista, in una Svizzera imparziale e statica che in una certa misura rappresenta il suo stato d’animo: una zona neutra tra l’identità ucraina della madre e lo spettro di quella franco-svizzera del padre.

La crisi è amplificata con la totale alienazione dalle nuove compagne di squadra, fortemente sottolineata dalle differenze linguistiche e culturali, le quali rendono impossibile la costruzione di una dimensione omo-sociale empatica. Che sia espresso in francese o italiano, il disprezzo per questa diversità passa prima dai corpi e poi dalle parole delle ragazze ed è percepito dalla protagonista come un sistema unico, proprio di quella parte d’Europa alla quale l’Ucraina vorrebbe unirsi attraverso la sua lotta.

Il conflitto vissuto dalla protagonista è sia interiore che esteriore: da un lato l’equilibrio, il controllo psicofisico e la perfezione quasi robotica che Olga riesce a mantenere durante le sessioni d’allenamento, dall’altro il caos emotivo derivante dalla rivoluzione: corpi preservati e corpi martoriati sono divisi e mediati al contempo dal sottile schermo di uno smartphone. La protagonista è spettatrice passiva dei video delle manifestazioni nel suo paese, vorrebbe partire e prenderne parte, ma è determinata socialmente dalle prestazioni sportive, dai contratti e dalle decisioni prese sul territorio svizzero.

L’Ucraina non ammette la doppia cittadinanza, la protagonista è forzata a definire la sua identità: anche in questo caso la scelta è decretata dagli eventi. Olga diviene Svizzera ed entra a far parte della squadra nazionale, rappresentando il paese ai campionati europei. Proprio all’interno del contesto agonistico le divise ginniche assumono il valore di uniformi militari: l’ex-allenatore di Olga decide di lavorare per la squadra russa, con tutta la disapprovazione delle allieve ucraine.

La linea di demarcazione tra sport e politica viene definitivamente oltrepassata da Sasha, che si auto-squalifica al grido di "Free Ukraine". Invita anche Olga a unirsi alla protesta, ma le loro tute sono diventate di colore diverso, blu per una e rossa per l'altra, lasciando che il colore dei vestiti determini i confini nazionali. La protagonista ha ormai assunto una nuova identità: rinuncia a schierarsi ed esegue un’esibizione dal punteggio incredibile, guadagnandosi la stima mai espressa dalla squadra e dall’Europa intera, ma il suo corpo cede, rifiutando la nuova posizione.

Nonostante il tentativo di fuga dal suo determinismo, Olga è prigioniera del suo stesso corpo: le fiamme della protesta divampano fino a sconfinare nello spazio domestico della sua camera da letto ad indicare come la violenza abbia raggiunto l’ambiente familiare: Ilona entra presto tra le file dei corpi martoriati. Olga sa che casa sua brucia e lei non è presente: stanca e stremata dalla lotta glielo ricorda Sasha, ma la squadra le ha imposto il riposo per via delle fratture al metatarso dovute dallo stress e qualsiasi azione significherebbe rinunciare alla ginnastica. Ancora una volta, la volontà dell’animo si divide dalle necessità del corpo, in un dualismo irrisolvibile.

Quando nel 2020 nella Piazza Indipendenza di Kiev si respira una pace apparente, il presidente è fuggito: tutti in Ucraina sanno che in realtà la guerra è esplosa sul territorio, ma ormai ci si convive. Lo ha capito anche la stessa Olga, più consapevole e serena aiuta le nuove generazioni nel suo paese a raggiungere lo stesso sogno: il suo sguardo si perde nel salto verso l’ignoto, simbolo di una palingenesi appena istituita.