Tuttobenigni, noto anche come Tuttobenigni dal vivo o Tuttobenigni 1983, è l’ultimo atto del sodalizio artistico tra Roberto Benigni e Giuseppe Bertolucci. I due collaboreranno ancora per la sceneggiatura di Non ci resta che piangere e il soggetto de Il piccolo diavolo, ma di lì a poco Benigni, proprio grazie a Bertolucci, conoscerà Vincenzo Cerami e inizierà una nuova fase della sua carriera, da molti considerata la più matura (da Johnny Stecchino passando per Il mostro fino a toccare l’apice con La vita è bella). La pellicola è una raccolta delle migliori esibizioni di Benigni sui palchi delle varie Feste dell’Unità di quegli anni, intervallate da brevi interviste e sketch improvvisati in macchina con amici o in giro per Vergaio, suo paesino d’origine, dal quale il film inizia con la bizzarra gara di mosca cieca che coinvolge tutti i cittadini, compreso lo stesso Benigni.
Col senno di poi Bertolucci realizza un autentico documento d’archivio che testimonia il divenire di un comico al tempo molto diverso da come siamo abituati a intenderlo oggi. È un Benigni ancora molto legato all’appropriazione della retorica politica per destrutturarla e smascherarne l’ipocrisia. Ne è esempio calzante l’inizio, in cui dapprima parla della “prerogativa della curia di avere l’afflato erotico più potente del mondo” imitando la cadenza dell’oratoria papale, e in seguito magnifica in un non-sense eccezionale le virtù di Firenze e della Toscana con l’impeto di un leader di partito.
Erano gli anni in cui Benigni non rilasciava un’intervista che fosse una in cui rispondeva seriamente alle domande dei giornalisti. Per lui era una sfida. Ogni volta doveva dire la cosa più assurda gli passasse per la testa con una tranquillità spiazzante, al punto da non far capire dove finisse lo scherzo e ci fosse del vero in ciò che diceva. Memorabile la risposta quando gli viene detto che alcuni critici lo identificano come il Woody Allen italiano.
Il nostro inoltre non lesina battute su Papa Giovanni Paolo II e sulla Democrazia Cristiana (in particolare nelle figure di Bettino Craxi e Amintore Fanfani), per passare a comiche considerazioni su quei dieci comandamenti “fatti apposta per la classe abbiente, il povero è condannato”, quei sette vizi capitali “che Dio ha tutti e sette in pieno” e quella storia di Caino e Abele secondo lui andata diversamente. Satira e irriverenza nei confronti di politica e religione la fanno da padroni (e troveranno la perfezione anni dopo in Tuttobenigni 95/96) e a fare da fil rouge è la fissazione per il sesso che caratterizzava il suo Cioni Mario di Berlinguer ti voglio bene, in quanto per Benigni “Dio è uno degli argomenti principi della comicità, sul quale ci si può divertire anche perché è l’essere con più senso dello humour al mondo, Dio è proprio sesso e comicità insieme”.
Non è dato sapere quanto e se abbia tratto ispirazione dalla stand-up comedy anglosassone, principalmente nelle figure di Lenny Bruce e George Carlin, ma lo stile di Benigni in queste performance la richiama molto: non indossa maschere, non fa personaggi, porta sul palco se stesso e il suo punto di vista sul mondo, armato solo di microfono. È interessante oggi paragonare i dieci comandamenti televisivi al limite del catechismo con questi esilaranti segmenti. Se è vero che Dante scandalizzò tutti quando scrisse la sua opera più famosa, Benigni è molto più dantesco qui che non quando recita a memoria la Divina Commedia.