One Night on the Wharf racconta di un gruppo di uomini, quattro amici, uniti dalla stessa passione: la poesia. Uno tra loro è, in realtà, visto come un guru da imitare, rispettare e proteggere. Da un paesino della Cina inizia il loro frenetico viaggio - fatto di camminate, brevi tratti in macchina, corse folli in bicicletta, treni e traghetti persi - verso il porto di una città vicina che, però, viene goffamente interrotto da una piccola gang di criminali e da burocrati malfattori. Tra versi poetici, insoliti amori e qualche scazzottata i protagonisti ne emergono come astute e ingannevoli sirene. Non sapremo mai se veramente i quattro amici non nascondessero qualcosa che fosse al di là della loro poetica e del loro modo di vivere pacatamente gli imprevisti: spesso accettandoli anche se ingiusti.

Quella che i protagonisti hanno scelto di vivere è la strada dell’arte, una via che li porta ad avere uno stile di vita diverso dal comune. Magari non li conduce verso una ricchezza materiale, ma verso una spiritualità che è, fin dall’inizio, tenuta in sordina. Gli unici momenti in cui essa si rivela, sconfinando in un simil-fantasy tenuto in sospeso, sono quelli marcati dall’aurea apparizione di un libro che irradia, unicamente per il poeta che ne è proprietario, una luce abbagliante e allo stesso tempo avvolgente e rassicurante.

Solo in quei momenti One Night on the Wharf si distacca dal genere di cui ha ben delineato i suoi contorni: un “ritorno” alla commedia degli equivoci con qualche sfumatura di humor nero e non-sense che ricorda per certi versi quello di Takeshi Kitano di Boiling Point - I nuovi gangster.

One Night on the Wharf è il film d’esordio di Han Dong, noto poeta e scrittore cinese. Ha deciso infatti di adattare “un suo lavoro, At the Pier” per ottenere quella che risulta essere “una commedia graffiante e divertente” che pone al centro, di quel piccolo mondo, l’amore incondizionato per la poesia: presenza costante nonostante gli imprevisti. Privilegiando campi lunghi e piani americani, non lascia mai i personaggi da soli, seguendoli con la macchina da presa in ogni loro movimento. A volte non è ben chiaro come certi soggetti ne incontrino altri sul loro cammino. Un film composto per lo più da personaggi maschili, alcuni estremamente infantili, mentre le poche donne presenti sono descritte come forti e intraprendenti: sembrano quasi figurare come eroine di cui gli uomini non possono fare a meno, ma a cui loro non sono mai succubi. Han Dong ha probabilmente assorbito qualcosa anche, come scrive Francesco Saverio Marzaduri nel catalogo dell’Asian Film Festival, dal “tocco dell’amico Jia Zhangke, cineasta e produttore del film”.