In un’intervista in occasione dell’uscita del suo secondo film I Never Cry (2020), sul fenomeno dei cosiddetti “euro-orfani”, ragazzi o ragazze polacche che perdono i genitori emigrati in Europa per lavoro, il regista Piotr Domalewski ha affermato di volersi concentrare su persone e storie ordinarie piuttosto che su temi “più grandi” e personaggi “fuori dall’ordinario”. Nel suo indagare l’archivio della storia nazionale attraverso le vicende delle persone comuni per portare alla luce verità scomode, Domalewski mostra di aver assimilato la lezione del connazionale Wajda.

In Operation Hyacinth, disponibile su Netflix, Domalewski si concentra appunto sull’Operazione Giacinto, un programma della polizia segreta polacca che, negli anni 80, portò all’arresto e alla schedatura di più di diecimila persone con tanto di registro ufficiale che ancora deve venire fuori, nonostante le autorità polacche, dopo un primo momento di smentita, abbiano da tempo ammesso l’esistenza della schedatura.

Robert è il poliziotto idealista al centro del film, pronto per le nozze con la collega poliziotta, e con un rapporto irrisolto con il padre, alto funzionario della polizia di Varsavia. Figlio del regime, Robert non vuole però accontentarsi delle versioni ufficiali: così quando l’inchiesta sull’omicidio di un omosessuale funzionario di partito viene “aggiustata” e chiusa, lui continua le sue indagini tanto sul caso quanto sulla sua stessa sessualità. Nel corso delle ricerche, infatti, Robert instaura un’amicizia sempre più passionale con lo studente universitario Arek che lo introdurrà alla scena gay di Varsavia. La firma del verbale dell’interrogatorio che Robert appone al posto di Arek davanti al padre costituisce una presa di coscienza della propria sessualità da parte del poliziotto e un atto identitario che sfida la schedatura del regime.

Il film ricostruisce con efficacia l’atmosfera di sospetto di quegli anni e il meccanismo di disgusto, anche verso sé stessi, e umiliazione a cui erano costrette le persone più vulnerabili e ricattabili quando si piegavano al regime. Gli interrogatori della polizia sono davvero l’occasione per il regista per far sfilare le persone ordinarie al centro dell’Operazione Giacinto: dal tassista al professore universitario, molti sposati con figli, altri in cerca di una libertà sessuale che viene costantemente negata.

La desolazione di alcuni luoghi di Varsavia e degli ambienti in cui si muovono i personaggi simboleggia la decadenza morale del regime, sovvertendo la stessa accusa rivolta agli omosessuali. Per chi è cresciuto negli anni '80, inoltre, il film fa sentire in modo concreto il giogo della censura di regime, attraverso il fatto che solo uno dei personaggi nomina una sola volta la pandemia dell’AIDS: si avverte in modo decisivo una discrasia conoscitiva tra spettatore e personaggi, strumentale alla narrazione dell’Operazione Giacinto, di cui una delle giustificazioni era proprio quella di evitare la diffusione dell’AIDS.

Anche se meno riuscita è la parte “di genere”, che riprende gli stilemi degli inseguimenti a piedi e in macchina del noir americano senza le possibilità produttive, Operation Hyacinth rimane un film importante il cui grido di denuncia non si ferma alla Polonia comunista ma arriva fino ai giorni nostri. Impossibile infatti non cogliere nelle parole di Arek sul fatto che la comunità gay sarà sempre perseguitata in Polonia un forte riferimento al presente delle “zone libere da LGBT” con cui diversi enti locali polacchi hanno scelto di bandire sul loro territorio eventi LGBT e di dichiarare i soggetti queer persone sgradite.