In una piccola città americana è da metà 1800 che è in corso la rivalità fra due famiglie. Questa, senza senso, continua ad essere tramandata di padre in figlio, ma il motivo della disputa è ovviamente ignota.

La legge dellospitalità, in originale Our Hospitality, è il secondo lungometraggio autoprodotto e diretto da Buster Keaton insieme a John G. Blystone. Film che vede una delle sequenze più note della filmografia di Buster Keaton, ovvero quella della cascata, un incredibile esercizio acrobatico che vede l’attore aggrappato ad un tronco, non molto stabile, al quale è oltretutto legato con una corda dalla quale non riesce a liberarsi. Il precipizio è alto e sicuramente mortale, eppure lui riesce non solo a liberare sé stesso, ma anche a salvare l’amata fanciulla. Come scrive Kevin Brownlow, Keaton definiva queste acrobazie “gag impossibili” e Our Hospitality fu l’ultimo film in cui le utilizzò.

La trama è liberamente ispirata alla faida tra gli Hatfield e i McCoy che, come scrive Cecilia Cenciarelli,  “tra gli anni Sessanta e i primi Novanta dell’Ottocento coinvolse due famiglie nell’area compresa tra la Virginia Occidentale e il Kentucky, lungo le rive del Tug Fork, affluente del Big Sandy River”.

Keaton è il giovane Willie McKay arcinemico della famiglia Canfield, a causa della doppia uccisione all’inizio del film in cui muoiono il padre del protagonista e il fratello del Signor Canfield. Il neonato Willie - interpretato da Jimmy Keaton, ma nel film accreditato come Buster Keaton jr. - era stato portato a New York dalla zia materna che l’ha cresciuto totalmente ignaro della faida famigliare. Vent’anni dopo viene richiamato nel paese natale per prendere possesso dell’eredità di suo padre.

Inizia così il viaggio in treno, una delle parti migliori del film, con un mezzo interamente ricostruito in studio. La locomotiva si stacca dalle carrozze, perde i binari, saltella riempie di fuliggine i suoi passeggeri e incontra bizzarri personaggi che lanciano sassi per ricevere indietro della legna, ottimo bottino con cui scappare via. Cecilia Cenciarelli scrive che Keaton decise di trasporre questa storia perché è, in qualche modo, legata alla sua passione per le locomotive.

In Our Hospitality, rispetto a The General, serviva “un locomotore a vapore antico e lentissimo, che avanzasse con moto precario nella bellezza arcadica e nostalgica del paesaggio americano. Costruita in Inghilterra nel 1829, la Rocket – una delle prime locomotive mai esistite – era il mezzo di trasporto ideale per il suo personaggio e fu meticolosamente riprodotta per il film”.

I passeggeri del treno arrivano stremati a destinazione, ma nonostante questo il folle viaggio ha permesso a Willie e alla giovane Virginia Canfield (Natalie Talmadge Keaton) di conoscersi e provare simpatia l’uno per l’altro. Mentre Willie è in cerca della proprietà paterna incontra nuovamente Virginia che lo inviterà ad una cena in famiglia. Peccato che per lui sia una specie di condanna a morte e a salvarlo c’è solo la legge dell’ospitalità, ovvero il padre di Virginia e i suoi due fratelli non possono ucciderlo finché è ospite in casa loro.

A quel punto inizia la seconda parte di  Our Hospitality tutta fondata sull’inseguimento e la caccia al buffo uomo che, giocando d’astuzia, inganna i suoi aguzzini, conquista la ragazza e, sfruttando i grandi spazi aperti, dà sfogo a eccezionali scene acrobatiche. Keaton qui è incredibile e si conferma come comico caratterizzato da ricercatezza estremamente accurata. Our Hospitality è un film vivace e appassionate che non fonda più la sua comicità solo su gag puramente slapstick. La pacatezza di Keaton spicca all’interno del caos iper-dinamico che contribuisce a creare, rendendo questa pellicola un ottimo intermezzo di carriera.