Un gruppo vacanza, imprescindibilmente mal assortito e quindi eterogeneo, da Roma va a Parigi per passare una sola giornata di svago e vacanza. Siamo nel dopoguerra ed i sintomi tragici si mostrano, velati da un’aria di leggerezza, attraverso quelle battute giocose, ma inclementi, che grandi attori del cinema italiano si scambiano fra loro. Come quando Andrea De Angelis, interpretato da un meraviglioso Aldo Fabrizi, pensa e sostiene, nella sua genuina ignoranza, che a Notre-Dame manchi una torre a causa dei bombardamenti.

L’amico romano di Andrea è il Barone Raffaele D’Amore che, nonostante sia alla canna del gas, vorrebbe fare da Cicerone al suo amico, ma la città della meraviglia, che egli abita da qualche anno, non fa altro che disconoscerlo. D’Amore tenta ogni strada pur di mostrare la “bella vita” parigina, ma più tentativi fa, più svela la miseria che lo attanaglia. La figlia di De Angelis, Minì - interpretata dalla giovanissima Lucia Bosè - sogna di passeggiare romanticamente per la città con il fidanzato Marcello (Marcello Mastroianni), ma la Parigi che Luciano Emmer vuole mostrare non è quella dei sogni. Infatti Franco (Franco Interlenghi) è l’unico della comitiva che riesce a vivere una giornata quasi da sogno, anche passando, casualmente, la serata in un locale dove suona Yves Montand.

Luciano Emmer, come in Domenica d’agosto, carica la narrazione di tanti episodi di vita e attese che sono legati tra loro solo dai personaggi che, nella loro individualità, le vivono. Parigi è sempre Parigi procede appunto verso una totale dissoluzione del racconto, e omologa i personaggi fra loro solo grazie agli stereotipi che sorreggono tutto il film. Stereotipi che negli anni non abbiamo dimenticato. Parigi è ancora la città del sentimentalismo, della moda e delle strane filosofie di vita, che annoverano curiose esibizioni artistiche nei locali notturni: come quella “dell’enfaticalismo” che, pochi anni dopo il film di Emmer, Stanley Donen dipinge in Cenerentola a Parigi.

Luciano Emmer mostra infatti una caricatura dell’italiano (e dell’italiana) medio che, in vacanza, si vorrebbe liberare dalle catene della depressione per cedere alle sue pulsioni ed istinti più bassi, ma ciò non gli è possibile o per motivi economici o perché comunque la realtà è diversa dal sogno. Questa Parigi è spietata e affamata, i tour sui pulmini stipati sono insostenibili. Le guide hanno lingue come mitragliatrici e gli autisti guidano come se fossero al volante di una Ferrari. La rapidità è il sintomo maggiore del bisogno di una paga. Non ci sono soldi, e i pochi che si hanno vengono buttati al vento, non c’è spazio né per l’amore fugace e né per i sogni furtivi. Ciò che Emmer mostra è la miseria che italiani, francesi e francesi provenienti dalla Corsica vivono comunemente come quotidianità, poiché anche se cercano il rifugio in un miraggio esso perde il suo luccichio non appena lo si avvicina.