Bella Cherry – nome d'arte – arriva a Los Angeles dalla Svezia con l'ambizione di diventare una star del porno. Non ha nessun trauma familiare alle spalle, giusto per sgomberare il campo dalle storie trite e ritrite, il sesso le piace e vuole costruirci sopra una grande carriera. Si ritrova in un'industria fiorentissima, dove la competizione è sfrenata e arrivare in cima comporta molte difficili prove da superare.
Non ci potrebbe essere struttura in tre atti più classica di Pleasure di Ninja Thyberg (in programmazione su MUBI), con tanto di ogni abusato topos del cinema motivazionale hollywoodiano: lo straniamento e l'insicurezza iniziali, l'ammirazione e la rivalità verso l'antagonista di successo, il tradimento della vecchia amica pur di approdare alla fama, la crisi profonda, la risalita grazie alle parole nobili e consolatorie della madre (che, del tutto ignara, sta incoraggiando la figlia a non mollare il mondo dell'hard).
Il porno è un'industria come qualsiasi altra, e Pleasure è una critica strutturale feroce al sogno americano e al capitalismo in toto, senza nemmeno la consolazione del disprezzo beffardo di Showgirls. Il tempo è denaro, dunque l'attenzione al consenso sessuale rispetta tutti i crismi giuridici ma è funzionale solo al mantenimento della produttività, completamente impersonale e disumanizzato per quanto riguarda le persone coinvolte. Se un interprete non regge emotivamente la performance, tutti si fanno attenti e consolatori ma è impossibile districarsi fra reale empatia e volontà di terminare la scena evitando sprechi inutili. E se la reputazione è tutto, come in qualsiasi ambiente di lavoro, la coercizione e lo stupro sono dietro l'angolo.
Si sa che ciò che si vede sullo schermo non è reale, e mai come in Pleasure è esplicitato quanto la rappresentazione filmica nulla abbia a che fare con la realtà della sua realizzazione, nella quale ben poca è l'eccitazione sessuale e molta la volontà di essere produttivi, fra punture sul pene per indurre l'erezione e masturbazioni nel chiuso delle proprie fantasie, senza gettare uno sguardo alla partner lì accanto.
Eppure alcune cose che si vedono sullo schermo non possono che essere avvenute, e il porno è forse il genere – sempre che lo facciamo rientrare fra i generi cinematografici, ma non entriamo in una polemica annosa – con meno effetti speciali in assoluto: le erezioni, lo sperma, gli sputi in faccia, gli schiaffi, le percosse, le pratiche sessuali sono stati in qualche modo agiti nella realtà, e Thyberg mostra come tutto debba passare per il corpo (e non si stenta a credere, come ha dichiarato, che la regista abbia creato un rapporto di forte fiducia e amicizia con la protagonista esordiente Sofia Kappel).
Bella arriva in cima alla catena alimentare del settore quando ha introiettato il modello comportamentale dominante. È diventata lei quella che persuade e non quella che è persuasa, lei quella aggressiva e non quella aggredita, lei quella che induce al silenzio e non quella che vi è indotta. La sfida finale, la scena di sesso con l'acerrima rivale, per quanto inverosimile funziona perfettamente sul piano dello slancio retorico. È un trionfo, l'eroina ha vinto: è nata una villain.