Il 1975 è un anno cruciale nella storia degli Stati Uniti d’America. La guerra del Vietnam giunge finalmente al termine, le utopie dei Sixties sono ormai un pallido ricordo e i sogni di rivoluzione lasciano spazio a paranoia e incertezza. È in questo clima di imperante apatia sociale che Qualcuno volò sul nido del cuculo esplode nelle sale come un grido di rivolta e non poteva che essere Miloš Forman, sagace cantore delle inquietudini giovanili, spirito libero sopravvissuto alla fine del Sessantotto, a trasporre in immagini il rabbioso romanzo di Ken Kesey.

La grandezza di questo film e la sua inesauribile attualità sono date dalla perfetta sinergia tra scrittura, regia e performance attoriale, ma a mantenere inalterato il piacere della visione sono le sue molteplici chiavi di lettura e il suo ruolo cruciale all’interno della filmografia americana del regista. La lotta per le menti e i cuori dei pazienti del manicomio di Salem (città tristemente nota per i roghi delle streghe sul finire del Seicento) tra il galeotto McMurphy e l’infermiera Ratched mette alla berlina la freddezza disumana degli ospedali psichiatrici e la violenza, fisica e mentale, subita dai malati, ma nelle mani di Forman il racconto di denuncia si eleva fino a diventare metafora dello scacco morale di un’intera generazione.

Il romanzo di Kesey del ’62 viene inserito nel largo solco tracciato dalla New Hollywood fino a diventare una parabola pessimista sulla libertà dello spirito oppressa dalle catene del conformismo,  forza motrice di una società dove il confine tra sani e malati di mente si fa sempre più sottile e viene dettato dal rispetto delle regole e del comune senso del pudore. Randall McMurphy è la scheggia impazzita che apre ai malati le porte di un mondo colorato, vivace e irriverente, opposto al grigio rigore e alla sadica indifferenza dell’infermiera Ratched, serva del sistema determinata a ostacolare, umiliare e, infine, sopprimere qualunque individuo al di fuori della norma.

Ribelle senza causa ancor più caustico di James Dean, il personaggio che ha consacrato Jack Nicholson come icona filmica degli anni Settanta è il termine di paragone per tutti i geni ribelli destinati alla sconfitta su cui Miloš Forman si concentrerà per il resto della sua carriera. Nonostante il preciso contesto storico di appartenenza, Randall McMurphy resiste alla prova del tempo grazie al suo inesauribile vigore anarchico e la sua eco si espande per tutto il cinema successivo di Forman, trovando ulteriori articolazioni e punti di fuga nei virtuosismi barocchi di Mozart come nel surrealismo comico di Andy Kaufman o nelle provocazioni antipuritane di Larry Flynt.

Al di là di qualunque giudizio o analisi critica, ciò che rimane impresso nella memoria del pubblico, oltre alle magistrali performance di Jack Nicholson e Louise Fletcher premiate entrambe con l’Oscar, è una regia abilissima nel descrivere minuziosamente la monotonia alienante della vita in manicomio e una schiera di attori secondari che lasciano il segno, divisi tra veri pazienti di istituti mentali e giovani comparse ancora lontane dalla gloria come Danny DeVito e Christopher Lloyd.

A più di quarant’anni di distanza, Qualcuno volò sul nido cuculo non prende un briciolo della potenza che l’ha consacrato tra i film più amati della storia e rimane indiscutibilmente la vetta più alta nella carriera di Miloš Forman, la prima tappa di un percorso di cinema rigoroso e variopinto nel suo opporsi ostinatamente a ogni tipo di regola o convenzionalità.