Quella voglia matta di Catherine Spaak che ci assale sapendo che non c’è più: rivedere tutte le trasformazioni artistiche di una carriera di oltre sessant’anni che l’ha portata su set cinematografici prestigiosi, studi di registrazione, palcoscenici teatrali e studi televisivi. Al suo esordio negli anni 60 con registi come Lattuada, Pietrangeli, Risi e Salce, Catherine Spaak, ancora adolescente, viene bersagliata dalla censura e dai tribunali italiani per i suoi ruoli giudicati troppo sfrontati per una ragazzina e per una maternità precoce. 

Paradossalmente, nelle evoluzioni della sua carriera, Spaak, nata in una famiglia franco-belga di sceneggiatori e attrici, arriverà a presentare il tribunale televisivo di Forum (1985-88) e verrà consacrata come conduttrice sofisticata ed elegante dalle quindici stagioni del salotto di Harem (1988-2002). Una carriera artistica attraversata da un’idea di donna protagonista, che non scende a patti con le aspettative sociali e di genere, ma cerca di ridefinirle e di rinegoziarle.

Infatti, a porre troppo l’accento sul “lolitismo” degli esordi e sull’eleganza della maturità, si rischia di perdere di vista il contributo di Catherine Spaak all’evoluzione del costume italiano e del divismo femminile: aver creato donne che, davanti alla macchina da presa o alla grata di un harem televisivo, giocano con lo sguardo degli uomini senza, tuttavia, lasciarsi definire dai desideri maschili, spesso smascherando l’ipocrisia dei padri di famiglia.

Lilly Cortona nell’immortale Il sorpasso (1962) e, ancora di più, le donne che Spaak incarna in film da riscoprire come I dolci inganni (1960), La voglia matta (1962), La Parmigiana (1963), La noia (1963), La calda vita (1963), La bugiarda (1965) e il cult maledetto Break-up (1965) di Ferreri, prendono spesso l’iniziativa nella seduzione e rivendicano il loro piacere sessuale, territorio considerato maschile. Non soffrono di sensi di colpa, al contrario dei personaggi maschili prede di nevrosi e di inibizioni. La loro indipendenza irrita i censori ma interessa il pubblico, facendo ottenere a Catherine Spaak il ruolo da protagonista in tutti gli episodi di 3 notti d’amore (1964) di Castellani, Comencini e Rossi. Bolognini declina in modo diverso la sua propensione a trasgredire le aspettative di genere, offrendole il ruolo di una donna soldato nel film in costume Madamigella di Maupin (1966).

Nella seconda metà degli anni 60, Catherine Spaak inizia anche una carriera di cantante e si consolida come presenza importante nel panorama della commedia all’italiana, prendendo parte anche al grande successo de L’armata Brancaleone (1966) di Monicelli, sul cui set, tuttavia, denunciò anni dopo di essere stata costantemente presa di mira e molestata. Il tentativo hollywoodiano con Intrighi al Grand Hotel (1967) non riesce ma la popolarità italiana continua grazie ai sodalizi artistici con Pasquale Festa Campanile, Marcello Fondato e Giorgio Capitani. Antonello Falqui la fa esordire in televisione con La vedova allegra (1968) insieme a Johnny Dorelli che diventerà uno dei suoi quattro mariti.

Oltre alla commedia, che continua a regalarle successi importanti come Febbre da cavallo (1976) di Steno, nella seconda parte della sua carriera di più di sessanta film Spaak interpreta anche ruoli drammatici: lesbica in Una ragazza piuttosto complicata (1969) di Damiani e Cari genitori (1973) di Enrico Maria Salerno, entrambi con Florinda Bolkan, femme fatale nel thriller Il gatto a nove code (1971) di Dario Argento, borghese insoddisfatta ne La via dei babbuini (1974) di Luigi Magni, giornalista nella discussa ricostruzione storica di Squitieri, Claretta (1984).

Dopo la pausa televisiva, la carriera da attrice riprende negli anni 2000 in ruoli da comprimaria con registi come Emidio Greco e Carlo Virzì fino all’ultima apparizione come protagonista: La vacanza (2019) di Enrico Iannacone dove interpreta, ancora una volta, una donna indipendente e anti-conformista che affronta il bilancio della sua vita.