L’agenda culturale di questo 2017 è stata ricca di iniziative e riflessioni sulla Rivoluzione d’Ottobre, di cui ricorre il centenario. Anche la Cineteca di Bologna festeggia l’anniversario con un mese consacrato a Sergej Ejzenštejn, senz’altro uno cineasti più rappresentativi di questa straordinaria stagione storica e culturale. Oltre ad un’ampia retrospettiva, al maestro del cinema sovietico è dedicato il convegno di studi svoltosi presso gli spazi del cinema Lumière.

Se la filmografia e l’amplissima produzione saggistica di Ejzenštejn sono da anni un frequentato e fecondissimo terreno di studio per storici e teorici del cinema, questo convegno si propone di fare il punto sullo stato attuale delle ricerche, rendendo conto dell’eterogeneità delle direzioni intraprese e auspicando un dialogo produttivo tra i differenti approcci adottati. Proprio per questo, alla giornata di studi è stato accolto un gruppo ricercatori appartenenti a generazioni diverse e contesti accademici geograficamente distanti, tra cui figurano autorità del settore quali Naum Kleiman, Gerhard Wolf e Bernard Eisenchitz, studiosi italiani di riferimento come Antonio Somaini, e infine giovani ricercatori come Ada Ackerman, Pierluca Nardoni e Federica Rossi.

La giornata di lavoro si apre con il breve intervento di Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi di Firenze, che dal 7 novembre al 7 gennaio ospita la mostra Ejzenštejn – La rivoluzione delle immagini, che raccoglie settantadue disegni realizzati tra i primi anni ’30 e il 1948. A presentare le linee guida e i percorsi proposti dalla mostra prosegue poi Pierluca Nardoni, studioso dell’Università di Bologna e co-curatore dell’esposizione: nel folto corpus grafico ejzenštejniano – ricco sì, ma anche oggetto di numerosi studi sistematici – si è scelto di selezionare le opere più efficaci nell’esemplificare lo stretto legame tra teoria e prassi, e soprattutto nel rendere conto del ruolo creativo essenziale svolto dai disegni nell’attività del cineasta. Ben lunghi dall’essere semplici schizzi preparatori, questi disegni sono infatti, secondo Nardoni, uno strumento di elaborazione stessa delle teorie ejzenštejniane del montaggio, che fa qui la sua apparizione nella plasticità sincretica e nella resa dinamica del movimento attraverso un tratto netto e deciso. Oltre a dimostrare la complessità e la stratificazione dei riferimenti figurativi – che vanno dalla pittura rinascimentale ai primitivisti messicani – queste opere sono insomma un prezioso strumento di approfondimento per chiunque voglia confrontarsi con l’Ejzenštejn teorico, nonché una rappresentazione grafica di estrema chiarezza dei principali concetti da questo elaborati (in particolare, la nozione di isobrazhenie, mera rappresentazione dell’esistente, a cui si contrappone l’obraz, manipolazione e sintesi del reale attraverso la dialettica interna all’immagine).

Proseguono poi Gerhard Wolf e Federica Rossi (Kunsthistoriches Institut in Florenz, Max-Planck Institut, Firenze), con la presentazione del convegno The Future Is Our Only Goal: Russian Revolution in Time, Space, Utopian Landscapes and Image, a Firenze dal 9 al 10 Novembre. Il convegno, dedicato non solo a Ejzenštejn ma alla temperie culturale dei primi anni che seguirono la rivoluzione, mirerà ad analizzare il complesso rapporto tra il neonato stato socialista e il passato: spesso sbrigativamente bollato come futurista e iconoclasta, questo periodo è infatti segnato da una sofferta convivenza tra recupero della tradizione artistica del passato e rigetto per le forme culturali pre-rivoluzionarie. All’interno di questo percorso, l’obiettivo sarà, tra gli altri, quello di mettere in relazione il pensiero di Ejzenštejn con figure apparentemente lontane, come quelle di Walter Benjamin o Aby Warburg (il cui atlante Mnemosyne può essere considerato una forma di montaggio).

Il convegno entra nel vivo con le relazioni di Ada Ackerman (CNRS, Paris), che dedica un primo intervento all’esplorazione del rapporto tra Ejzenštejn e Honoré Daumier, e un secondo all’influenza esercitata dalla scultura di Michelangelo sul cineasta russo. Entrambe le ricerche si muovono in una prospettiva che parte dalla ricerca biografica per aprirsi poi all’analisi formale e stilistica delle opere in questione: in ambedue i casi, infatti, Ackerman prende le mosse da una documentazione rigorosa delle fonti che attestano l’effettivo interesse di Ejzenštejn per questi artisti, per poi rintracciarne le influenze nella filmografia. In particolare, Ackerman mette in evidenza la fascinazione del regista per i nudi monumentali e vigorosi di Michelangelo, di cui troviamo eco ne La corazzata Potëmkin e Ottobre, e l’enorme influenza esercitata dalle caricature di Daumier, il cui tratto sintetico e dinamico è interpretato da Ejzenštejn, ancora una volta, come uno dei molti precursori pre-cinematografici del montaggio (nello specifico, le litografie di Daumier, con la loro peculiare rappresentazione del corpo in movimento, offrono a Ejzenštejn lo spunto per una riflessione sulla biomeccanica e sul concetto di “gesto espressivo”).

Più libero è l’approccio adottato da Marco Antonio Bazzocchi (Università di Bologna), che propone un suggestivo dialogo tra l’opera ejzenštejniana e quella di Pier Paolo Pasolini.  Nel rintracciare i referenti figurativi e le relative modalità di manipolazione da parte dell’intellettuale italiano, Bazzocchi suggerisce infatti la produttività di applicare all’opera pasoliniana concetti sviluppati da Ejzenštejn nella sua folta produzione saggistica, come quello di ekstasis o di dialettica dell’immagine. Lo stratificato lavoro di rielaborazione delle fonti pittoriche attuato da Pasolini, infatti, potrebbe essere affiancato con profitto al procedimento di scomposizione e ricomposizione dell’immagine teorizzato da Ejzenštejn.

Altrettanto ricco di spunti, e segnato per di più da una felice intuizione interdisciplinare, è infine l’intervento di Antonio Somaini, docente e ricercatore presso l’ateneo di Paris 3 – Sorbonne Nouvelle e autore di un saggio di riferimento nel panorama italiano (Ejsenštejn: il cinema, le arti, il montaggio, Einaudi 2011). La relazione di Somaini si propone di rintracciare, per ciascuna delle diverse fasi della produzione ejzenštejniana – ognuna caratterizzata da una nuova teorizzazione del montaggio – le relative riflessioni antropologiche. Se l’obiettivo di Ejzenštejn era sempre stato quello di “organizzare lo spettatore” all’azione politica attraverso un linguaggio attivo ed efficacie, ogni nuova formulazione di quest’efficacia si basa infatti su una riflessione antropologica diversa. Somaini ripercorre così attraverso questa lente le diverse elaborazioni del concetto di montaggio, dal “montaggio delle attrazioni” al “montaggio intellettuale”, passando per il “montaggio verticale o sinestetico”.

La giornata di studi si conclude infine con il dialogo tra Bernard Eisenschitz, storico specializzato in cinema sovietico, e Naum Kleiman, direttore del Cinema Museum e Centro Ejzenštein di Mosca: un interessante confronto in cui si è spaziato dal rapporto di Ejzenštein con il regime e i contemporanei, all’attuale sfida della conservazione e divulgazione della sua opera nella prassi cinetecaria e nella programmazione di retrospettive.

L’insieme degli interventi, nella loro diversità metodologica, ha dato prova della vivacità degli studi su Ejzenštein nel panorama attuale: benché la sua filmografia costituisca un oggetto di ricerca relativamente tradizionale nel campo dei film studies, la sua complessa opera (cinematografica e non) continua a produrre spunti di riflessione di grande interesse, in grado di analizzare sotto una nuova luce aspetti inesplorati dell’intensa produzione ejzenšteiniana.