Qualunque cosa ci si aspetti prima di vedere Serpico di Sidney Lumet, si è destinati a rimanere stupiti.  Per i primi tre quarti d’ora i toni estremamente leggeri fanno pensare quasi ad una commedia ma, in ogni caso, anche quando i temi della pellicola si fanno più seri e cupi, questa riesce a non degenerare mai verso una facile reprimenda didascalica e moraleggiante.

La trasposizione della vita e delle battaglie del poliziotto rinnegato perché onesto Francesco “Frank” Serpico, descritto dallo stesso regista come un “rompiscatole”, dà l’opportunità a Lumet e a Pacino di scardinare ogni caratteristica dell’eroe tradizionale hollywoodiano: se ancor oggi il Tom Hanks di turno in ogni film è sempre felicemente sposato con conseguente figliata, Serpico cambia due fidanzate nell’arco di un’ora, se l’eroe è sempre giudizioso e simpatico, Serpico è stupidamente cocciuto e un paranoico irascibile costantemente sull’orlo di una crisi di nervi.

Serpico è uno dei più chiari prodotti della New Hollywood, come evidenziano il focus su New York (Lumet non ha mai girato un film a Los Angeles o dintorni), il budget relativamente povero e la presenza di un autore come Sidney Lumet che, inseguendo dappertutto lo scalmanato Serpico/Pacino, riesce a far risultare un’ampia metropoli come New York claustrofobica.

Il senso di straniamento che provoca il film è perciò causato dal sovvertimento di ogni regola che lo avrebbe accomunato ad un qualunque biopic ma anche e soprattutto dall’impeccabile interpretazione di Al Pacino, che osa non abbellire o rendere più popolare il suo personaggio, mantenendolo con le contraddizioni, i tic e i problemi di ogni uomo. Serpico è un egoista, un manipolatore e un megalomane e lo spettatore è chiamato a sforzarsi per non prendere le parti dei corrotti, ben più suadenti e apparentemente ragionevoli.

Dopotutto, Serpico è comunque un eroe americano, perché in lui si conservano l’ostinatezza, la testardaggine e il senso di giustizia che gli donano l’iniziativa di andare da solo contro tutti, abbattendo tanto il canto delle sirene dei suoi colleghi che lo vorrebbero corrotto quanto loro, tanto la finta condiscendenza e il mascherato paternalismo dei suoi superiori, che lo vorrebbero zittire. La resistenza di Serpico contro una forza dell’ordine tramutatasi in organizzazione criminale è la lotta di ogni uomo onesto contro le adulazioni e le scorciatoie di un tessuto sociale malato, che vorrebbe vedere la furbizia prendere il sopravvento sul merito, la legge del più forte su ogni speranza di uguaglianza.

Ecco perché nonostante le nevrosi e le isterie non si può non ammirare Serpico, per la sua forza e per la sua volontà, con la consapevolezza che forse non riusciremmo a non soccombere nei suoi panni, che forse sarebbe più semplice abbandonarci alla corrente e chiudere gli occhi davanti alla luce della speranza in una società rinnovata.
Ecco che Lumet riesce a moralizzare nel modo migliore, non esplicitamente, ma semplicemente facendoci capire quanto necessari siano i Serpico in ogni risvolto di ogni società, uomini non simpatici, non popolari, ma pronti a sobbarcarsi i rischi necessari per immaginare un mondo non perfetto, ma migliore.