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Riguardando “Serpico” di Sidney Lumet

Serpico è uno dei più chiari prodotti della New Hollywood, come evidenziano il focus su New York (Lumet non ha mai girato un film a Los Angeles o dintorni), il budget relativamente povero e la presenza di un autore come Sidney Lumet che, inseguendo dappertutto lo scalmanato Serpico/Pacino, riesce a far risultare un’ampia metropoli come New York claustrofobica. Il senso di straniamento che provoca il film è perciò causato dal sovvertimento di ogni regola che lo avrebbe accomunato ad un qualunque biopic ma anche e soprattutto dall’impeccabile interpretazione di Al Pacino, che osa non abbellire o rendere più popolare il suo personaggio, mantenendolo con le contraddizioni, i tic e i problemi di ogni uomo

“The Irishman”, old men and some guns

Come Quei bravi ragazzi e Casinò, The Irishman è una storia di mafia e di uomini di mafia, come in Quei bravi ragazzi e Casinò affidata al racconto al passato del suo protagonista, rivolto apertamente alla macchina da presa. Diversamente da Quei bravi ragazzi e Casinò, e oltre quei due precedenti straordinari film -ben oltre la vibrante confessione in aula del traditore Henry Hill in Quei bravi ragazzi (“da che mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster”), e nelle immediate vicinanze del laconico “e questo è quanto” che concludeva la riflessione di Ace Rothstein in Casinò – la storia di mafia di The Irishman è scarna, dimessa, spogliata di qualsiasi mitologia da malavita. Come scarno e dimesso, privo di esibizionismi ed entusiasmi, è il Frank Sheeran di De Niro.

“The Irishman” e il tempo della Storia

Il tempo della storia si dispiega passo passo, invade ogni inquadratura, ed è il vero protagonista e il punto di vista primo e ultimo del film. Il tempo che trascorre inesorabile e senza emozioni sullo schermo e quello che è trascorso nella realtà, nascosto dall’impressionante ringiovanimento digitale dei protagonisti ma impossibile da cancellare dai gesti, dagli sguardi, dai corpi degli attori. Una scelta folle e meravigliosa che si carica di significati, canto del cigno di un cinema e di una generazione e disperata dichiarazione sullo spietato avanzare degli anni. Tutto sparisce, tutto viene dimenticato, niente ha più importanza. Hoffa, santo e mafioso, famosissimo “come Elvis negli anni ’50 e come i Beatles nei ‘60” diviene solo una figurina sbiadita in una foto in bianco e nero, irriconoscibile per le nuove generazioni.

“The Irishman” e la vertigine del canto funebre

Non c’è etica e non c’è epica: non c’è niente di affascinante in chi ha scelto il male perché gli altri posti erano occupati o più scomodi, non c’è la mitologia degli angeli caduti costretti alla criminalità per colpa di una società ostile, non c’è nessuna attrazione verso corpi anziani ringiovaniti artificialmente grazie a miracolosi effetti speciali. E se i volti di Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci ritrovano giovinezze perdute, i movimenti sono già quelli incerti di coloro che hanno visto scorrere troppo sangue. Spingendosi nei territori di Robert Zemeckis e Steven Spielberg dove la tecnologia è al servizio dell’umanismo, Scorsese alza la posta e porta il cinema ai confini del possibile, (re)inventando, per questo film fortemente desiderato, un passato impossibile al fine di produrre qualcosa che ai nostri occhi sembra davvero impressionante.