Sonita Alizadeh ha quattordici anni. Come tante sue coetanee ama studiare, ha sogni, aspettative e tante esperienze ancora da vivere; coltiva le proprie passioni e in particolare quella per la musica, esercitandosi nel canto e nella scrittura di versi destreggiandosi tra un impegno e l’altro.
Ma Sonita è una profuga afghana, fuggita dalla dittatura talebana in Iran assieme alla sorella. Secondo le leggi del suo Paese, a una donna non è concesso cantare in pubblico, ma dalla verde età può essere venduta in sposa in cambio di una dote, tradizione disumana a cui la poco più che bambina non vuole sottomettersi, tanto meno per far fronte a problemi economici di cui non ha responsabilità. L’ingiustizia sociale diffusa di cui la ragazzina è testimone e vittima al tempo stesso è violentemente denunciata nel suo rap, che in breve scala le classifiche di YouTube facendo dell’interprete di Brides for Sale un caso internazionale, portando la sua vicenda a una visibilità altrimenti irraggiungibile.Il pregio maggiore dell’ultimo film della regista iraniana Rokhsareh Ghaemmaghami, non sta tanto nella tecnica, che rimane tendenzialmente fedele ai canoni del genere, a eccezion fatta per la sequenza in cui la cineasta interviene in aiuto della protagonista, abbandonando il ruolo di osservatore distaccato richiesto al documentarista. Piuttosto è l’aver portato alla luce una storia altrimenti sconosciuta, contribuendo concretamente a una causa per cui è indispensabile un impegno globale e sulla quale il cinema – medium ormai universalmente diffuso e fruibile – può richiamare l’attenzione di molti.
Seguendo la rapida presa di coscienza dell’artista emergente attraverso l’esperienza vissuta prima dalle sue amiche e poi sulla propria pelle, il film si fa manifesto della nuova generazione islamica, opposta alle interpretazioni radicali ed estremiste della Shari’a in nome di una rivoluzione pacifica che, nel rispetto del proprio credo, sia comunque espressione di una maggior libertà individuale. Sonita in fondo non chiede altro che le sia lasciata vivere la sua età senza vincoli, costrizioni o traumi, come dovrebbe essere di diritto per ogni adolescente.
E per farlo ha scelto un gesto esplicito ed efficace; come ogni arte, la musica è cultura e la cultura conoscenza, arma temuta da ogni potere, che cerca di annullarne l’efficacia imponendosi sulle voci contrarie prima che queste diventino un controcanto, coprendole come un velo “in quel bianco che va bene su qualunque cosa / in quel bianco che va bene e copre ogni colore / e a volte anche l’amore”.