Roma, marzo 1944. Nella capitale occupata dai nazisti, l’ingegnere Manfredi scappa da una retata delle SS e si rifugia da Francesco, tipografo antifascista e futuro marito di Pina, vedova e madre del piccolo Marcello; in soccorso a questi membri della Resistenza arriva Don Pietro, parroco locale e staffetta dei partigiani. Questa è, essenzialmente, la trama di Roma città aperta; una storia tanto lineare e verosimile, che guardandone lo sviluppo sul grande schermo ci si dimentica della finzione che si cela dietro il cinema.

Jean Luc-Godard ha affermato che "con Roma città aperta l’Italia ha riconquistato il diritto di guardarsi in faccia". Le parole del regista e critico cinematografico francese non fanno riferimento, come si potrebbe pensare, a una nuova morale italiana che da Paese fascista rinasce come Stato repubblicano e democratico grazie alle azioni di Resistenza; quello che Godard intendeva sottolineare con queste parole è il fatto che un film come Roma città aperta, trasudante vita e amore nonostante la tragicità degli eventi, realizzato proprio a ridosso della Liberazione – prima romana e poi nazionale – ha trasformato il grande schermo in uno specchio: il pubblico italiano dell’epoca ha potuto riconoscervi la propria  forza mentre il cinema nostrano di quegli anni ha scoperto la potenza artistica che la dimensione reale può assumere.

Roma città aperta è sinonimo di purezza. Nonostante lo sfondo della guerra, delle torture e della povertà, l’opera è impregnata di innocenza e onestà; è un indubbio che questo sia l’effetto esercitato dalla presenza di Anna Magnani del film – qui nel ruolo di Pina, futura moglie del tipografo antifascista Francesco. Il lungometraggio si presenta come un’opera corale, eppure, sebbene il personaggio di Pina scompaia dopo la prima metà del film, è impossibile non indirizzare la propria attenzione (quasi) esclusivamente verso la performance della Magnani.

L’attrice romana, con la sua naturale sfacciataggine e l’ironia dolce amara, non interpreta semplicemente Pina, ma vive questo ruolo; le sue lacrime, le sue grida e anche quei pochi sorrisi che la trama di questo film le permette di regalarci trascendo la recitazione: quella che il pubblico coglie è uno spaccato di vita vera, che resta impresso nella propria mente e nel proprio cuore.

Parlando di purezza, anche i bambini giocano un ruolo centrale nel film per esaltare l’ideale di un’innocenza rubata. Marcello e i suoi amici vogliono organizzare una rappresaglia, nascondendo armi e bombe… eppure, è impossibile per loro rinunciare a una partita di calcetto nel prato dell’oratorio.

Il film diretto da Roberto Rossellini rende la capitale, distrutta dalle bombe, sfiancata dalla mancanza di viveri, un’eroina. Non è un film sul coraggio dei partigiani, ma sulla resistenza (quella scritta con la erre minuscola) della gente contro le avversità: c’è chi lotta, chi si arrende, chi è altruista e chi egoista; Roma città aperta, in un’ottica contemporanea, porta in scena tanto il dramma della Seconda Guerra Mondiale e dell’occupazione quanto gli struggimenti emotivi della vita quotidiana. Si prova ad andare avanti oppure si scappa dai propri problemi, a volte ci si trova semplicemente travolti dalla malasorte.

L’eroismo allora, non è tanto nello cercare in tutti i casi la vittoria, nello sconfiggere i propri demoni, ma è sinonimo della vita stessa.