Non so quale sia il grado medio di frequentazione delle sale cinematografiche da parte dei tassisti, ma, qualora non ne fossero informati, sarebbe il caso di avvisarli che non accenna a tramontare la loro fortuna in quanto protagonisti di film di generi e paesi alquanto disparati. La lista sarebbe lunga, e allora bastino i titoli più noti o notevoli: dall’iconico Taxi Driver a Il tassinaro di Sordi, dai Taxisti di notte a episodi di Jarmusch all’adrenalinico e altrettanto notturno Collateral, da Taxi Teheran girato in clandestinità da Panahi al coreano A Taxi Driver.

All’elenco va aggiunto ora Roxy, ultima fatica di Dito Tsintsadze, regista georgiano trapiantato a Berlino da quasi vent’anni con alle spalle una quindicina di lavori tra cinema e televisione, che lo ha presentato a Bari durante la penultima giornata del Bifest, nel cartellone del Panorama internazionale. Prodotto dalla tedesca East End Film, Roxy attende ora un distributore italiano – e sarebbe un peccato che questa commedia birbantesca e calcolatrice (quasi quanto la simpatica faccia del suo autore) a vocazione thrilleristica non arrivi nelle nostre sale.

Il tassista stavolta è Thomas, un quarantenne berlinese anonimo e solitario, la cui monotona quotidianità viene sconvolta dall’incontro con tre russi che, oltre a voluminose pile di banconote e valigie piene d’armi, si portano dietro un feroce mastino di nome Roxy, e di fatto assumono il protagonista come autista personale. Sebbene non si capisca se Levan e i suoi sgherri siano gangster perseguitati da rivali sanguinari o un oligarca inviso al regime in compagnia di tirapiedi particolarmente inadeguati, Thomas, imperturbabile e fedelissimo, si lascia ben presto coinvolgere nei loro progetti di fuga, scoprendosi sempre più protettivo nei confronti della moglie e del figlio del suo nuovo datore di lavoro.

Ma proprio l’attrazione verso Liza e l’affetto per il piccolo Vova – o magari soprattutto la scoperta del controllo che può esercitare sugli altri – lo porteranno a decisioni molto rischiose, con esiti tanto sorprendenti ed esilaranti per lo spettatore, quanto rovinosi per certi personaggi. Anche se all’inizio ne è spaventato o infastidito, alla fine Thomas somiglia a Roxy molto più di quanto non (si) creda.

Non si può negare che i modelli di Tsintsadze, almeno per questo film, siano evidenti, forse addirittura esibiti fino al calco superfluo: l’umorismo impassibile di Kaurismaski, la criminalità ebete dei Coen, azzarderei persino le architetture al neon di Winding Refn. Quasi sempre, però, il regista è riuscito a evitare i guasti del film derivativo, perché in fondo Roxy dimostra la propria originalità rappresentando, in un’atmosfera autoironica per quanto carica di violenza, sia le invisibili dinamiche di controllo tra gli individui, sia il problema della “lealtà immorale” (così si è espresso Tsintsadze introducendo il film durante il festival), incarnati perfettamente in Thomas dagli atteggiamenti nevrotici e dalla mimica allusiva di Devid Striesow.

Il film è, infatti, la storia di un uomo ossessivo-compulsivo che, imparando il cinismo e la tenerezza da chi lo circonda, arriva a estendere sulla vita di una famiglia in pericolo le manie di controllo che già esercita dentro e fuori casa: durante i titoli di testa una serie di primi piani e dettagli ce lo mostrano mentre regola meticolosamente il traffico di una ferrovia in miniatura; nel suo appartamento ogni oggetto, a cominciare da un gruppo di dadi girati tutti sulla stessa faccia e dalle auto giocattolo ereditate dalla nonna, ha un posto preciso; nel bar dove lavora una sua conoscente ninfomane la macchina da presa segue i gesti del tassista quando non resiste a pulire un ripiano appena appena sporco.

Ancora, nel piano medio che chiude la sequenza in cui deve scattare le foto per i passaporti falsi dei russi, sembra che egli prema il pulsante della fotocamera una volta di troppo, e invece nel finale si capirà che quel sesto scatto era proprio per lui, che Thomas aveva già predisposto ogni cosa in vista della sua nuova vita, rassicurandoci sul fatto che è possibile essere nello stesso momento spregevoli e premurosi, a patto di lasciare tutto impeccabilmente in ordine.