Muhammad Ali aveva trentadue anni quando nel 1974 giunse a Kinshasa, Zaire, per battersi nel campionato mondiale dei pesi massimi. Trentadue anni non sono un’età proibitiva per un peso massimo. Ma Ali a trentadue anni era sopravvissuto a quarantasei match e ne aveva vinti quarantaquattro, non sempre con facilità. E il suo avversario era George Foreman, il campione in carica, all’epoca considerato l’uomo più temibile del pianeta, di certo molto più temibile di Ali. […] Come molti incontri di pugilato, Ali contro Foreman – il cosiddetto “Rumble in the Jungle”, “rissa nella giungla” – prometteva di essere una farsa, o una tragedia, o forse entrambe le cose. Era difficile prevederlo allora e può essere difficile stabilirlo anche con il senno di poi. Leon Gast, che nel 1972 aveva girato un film concerto intitolato Our Latin Thing, era stato chiamato a dirigere un film sullo Zaire 74, il festival musicale che doveva accompagnare il match. […] Né il concerto né l’incontro realizzarono lontanamente gli incassi che gli organizzatori auspicavano, e presto il progetto di Gast incontrò altri ostacoli che ne impedirono il completamento. Fu solo negli anni Ottanta che Gast riuscì, con l’aiuto dell’avvocato David Sonenberg (che divenne poi produttore del film), a trasferire il girato su videocassetta e a montare un documentario. Il risultato si intitola Quando eravamo re e si concentra sull’incontro, non sul festival. Quando esce nelle sale, nel 1996, è un inatteso successo, e l’anno dopo riceve l’Oscar per il miglior documentario.
Kelefa Sanneh, When We Were Kings: Ready to Fight, “The Criterion Collection”, 22 ottobre 2019
L’incontro era stato organizzato da alcuni maneggioni, che avevano fiutato l’affare del secolo. Tra loro spiccava Don King, organizzatore nero di pugilato, figura a mezzo tra il clown, il predicatore e l’affarista, capace di ottenere dieci milioni di dollari dal dittatore zairese Mobutu, prospettandogli il grande ritorno d’immagine che ne avrebbe avuto. Per una volta, lo Zaire sarebbe stato al centro dell’attenzione mondiale: poteva essere l’inizio di una nuova grande era, che sarebbe rimasta legata per sempre al nome di Mobutu!
Affari e politica, dunque, avevano reso possibile la nascita del match, ma Ali ne aveva subito colto la valenza simbolica, ed era stato capace di farla diventare la cosa più importante. Così, il festival musicale era passato in seconda linea, ma Leon Gast ci mise ventidue anni a trovare i soldi per completare il film secondo il nuovo progetto. Quando eravamo re poté uscire infatti solo nel '96, arricchito da interviste a Norman Mailer e George Plimpton (che allora seguirono l’avvenimento in veste di cronisti sportivi), nonché a Spike Lee, ma riuscì a documentare almeno tre cose contemporaneamente: 1) il feeling irresistibile e irripetibile tra Ali e la nazione zairese (ma si potrebbe dire, africana) che lo sostenne in ogni momento della preparazione e quella sera si batté con lui; 2) la personalità di Ali, eccezionale non solo in quanto pugile; 3) l’evento sportivo in se stesso.
Alessandro Cappabianca, Boxare con l'ombra. Cinema e pugilato, Le Mani, Genova 2004
L’incontro originariamente era previsto per settembre ma Foreman chiese un rinvio di un mese per un problema all’occhio, così la data fu fissata per il 30 ottobre. In Quando eravamo re Leon Gast è molto bravo nel riprendere i due giorni di puro panico che aleggiarono a Kinshasa dopo l’annuncio di Foreman. Don King temette che il suo castello di carte potesse crollare da un momento all’altro. Si pensò addirittura di lasciare lo Zaire e far combattere i due pugili negli Stati Uniti, ma cosa ne sarebbe stato poi dei dieci milioni di dollari? Per fortuna di Don King, e di tutto il mondo, in quei giorni ognuno mantenne fede ai propri impegni.
Francesco Gallo, Il cinema racconta la boxe: gli eroi del ring sul grande schermo, Ultra, Roma 2016
Al contenuto brillante ed elegante di quest’opera non vanno trascurate le incredibili vicissitudini occorse al film prima di essere finalmente distribuito e apprezzato in tutto il mondo. Leon Gast – impegnato fotografo negli anni Sessanta e Settanta per riviste come “Esquire”, “Vogue” e “Harper’s Bazaar” – ha iniziato la realizzazione di Quando eravamo re nell'autunno del 1973, trascorrendo più di due mesi nello Zaire; ma, da allora, ci sono voluti ben ventidue anni di riunioni in sale di proiezioni, in sale di montaggio, alla disperata ricerca di finanziatori perché il film potesse essere terminato. L’incidente di Foreman fece slittare l'incontro di sei settimane e nonostante ciò, quell’episodio diede l'opportunità al regista di rimanere a Kinshasa per riprendere buona parte del mega concerto di musica nera e per conoscere più da vicino i due grandi sfidanti. Gast tornò negli Usa con quasi 92.000 metri di pellicola tutti da lavorare. Anno dopo anno e soprattutto col sostegno finanziario di diversi produttori, l'autore riusci a portare avanti il progetto. Dall'idea originaria di una specie di Woodstock afroamericano, il documentario divenne invece un formidabile e unico ritratto di Muhammad Ali, chiuso dall’indimenticabile canzone, che dà anche il titolo al film, e memorabilmente eseguita da Brian McNight e Diana Marvel.
Roberto Amoroso, “Close-up”, n. 2, settembre 1997
Il match si svolse in Zaire per puri motivi di denaro e di propaganda politica. King cercava un pazzo disposto a garantire, a lui e ai due pugili, un ritorno economico senza precedenti. Mobutu cercava un’occasione per rendersi presentabile di fronte all’opinione pubblica mondiale, per regalare ai mass-media l’immagine di uno Zaire radioso, indipendente e felice. In realtà, una delle prime operazioni che Mobutu fece fu una doppia ‘ripulitura’: ripulì lo stadio, che come quello di Santiago del Cile era stato una prigione all’aperto, con gli spalti e i sotterranei ancora sporchi del sangue degli oppositori politici; e ripulì le strade, mettendo in galera mendicanti, ladri e prostitute almeno per il tempo sufficiente a far apparire Kinshasa, nei giorni dell’incontro, come una capitale moderna, pulita, ospitale.
Alberto Crespi, “Cineforum”, n. 363, 1997
Tutti i frammenti del mostrato tendono, o fingono di tendere, al climax della vittoria di Ali (vittoria così peculiarmente cinematografica, nel suo apparente naufragio verso la disfatta dell’eroe poi ribaltato con il colpo d’ala a sorpresa, da essere poi copiata in uno dei film della serie di Rocky). Mentre, probabilmente, al centro del racconto c’è la descrizione del regime segnico, della trama simbolica che alla sfida fa da cornice. Ciò che conta non è l’evento-sfida, ma la genesi della sfida, la sua gestazione intimamente filmica (che cosa è l’infortunio di Foreman che spinge gli organizzatori a rinviare l'incontro, se non un topos cinematografico, quello del differimento mirato alla crescita esponenziale dell’attesa e della suspense?).
Franco Marineo, “Bianco e nero”, n. 4, 1997.