La carriera di Ryan O’Neal ha attraversato molte forme e diversi generi del panorama mediale contemporaneo. Dalla soap opera che lo ha fatto conoscere al grande pubblico televisivo degli anni '60 all’inaspettato successo nel ruolo del ricco rampollo innamorato Oliver Barrett IV nel blockbuster strappalacrime per eccellenza degli anni '70, dall’approdo ai film d’autore fino al debutto teatrale e al ritorno alla televisione negli anni 2000, O’Neal ha continuato ad essere, nell’arco di sessant’anni, uno dei volti più noti dell’industria cinematografica e televisiva americana.

L’attore ebbe il suo primo ruolo importante nella soap opera Peyton Place in cui ha recitato dal 1964 al 1969. La sua statura divistica si affermò improvvisamente con Love Story (1970), grandissimo successo di pubblico, che portò O’Neal a lavorare negli anni 70 con registi come Kubrick, Bogdanovich, Attenborough, Walter Hill e ad essere preso in considerazione per ruoli come Rocky e Michael Corleone.

Tuttavia, i divorzi dalle mogli ufficiali e la tempestosa relazione con la Charlie’s Angel Farrah Fawcett, gli scandali dovuti a varie dipendenze di tutti i membri della famiglia e gli insuccessi commerciali di molti dei film successivi, hanno appannato l’immagine di star di prima grandezza dell’attore. Nemmeno la performance di O’Neal nella trasposizione cinematografica di Stanley Kubrick del romanzo di Thackeray, Barry Lyndon (1975), fu unanimemente apprezzata dalla critica che non riteneva l’attore sufficientemente credibile per un ruolo in costume.

I tentativi di riutilizzare formule di genere o accoppiamenti con partner femminili che avevano assicurato il successo di film precedenti, come il tanto atteso sequel di Love Story, Oliver’s Story (1978) o il ritorno con Barbara Streisand in Ma che sei tutta matta (1979) che riprendeva lo stile slapstick di Ma papà ti manda sola (1972), non vennero ugualmente premiati dal pubblico. O’Neal ritrovò comunque il successo grazie al pubblico televisivo che ne aveva decretato la prima affermazione: nel nuovo millennio è stato guest star di popolari serie televisive come Desperate Housewives e 90210, oltre ad aver interpretato il ruolo ricorrente del padre della protagonista in Bones.

Sempre per il piccolo schermo ha prodotto il reality Ryan and Tatum: the O’Neals (2011) trasmesso dall’Oprah Winfrey Network che, tuttavia, non è riuscito a sanare i contrasti tra padre e figlia. Nel 2015, è stato inoltre scelto da Terrence Malick per un cameo in Knight of Cups e l’anno seguente ha debuttato sul palcoscenico insieme a Ali McGraw, protagonista femminile di Love Story, nella commedia di A. R. Gurney, Love Letters.

Spesso descritto come un “duro” per i suoi ruoli in film d’azione e di guerra come Il ladro che venne a cena (1973), Driver l’imprendibile (1978) e Quell’ultimo ponte (1977), oltre che per il suo carattere difficile e i numerosi problemi avuti con la giustizia, Ryan O’Neal andrebbe invece riconsiderato come espressione dell’ansia verso la mascolinità che sembra incarnare. “Ti sei sempre preoccupato che potessi diventare frocio” dice il suo personaggio al padre nel neo-noir I duri non ballano (1987) di Norman Mailer, una frase che evoca il conflitto con l’autorità paterna nello sviluppo della propria identità maschile che caratterizza anche lo stesso personaggio di Oliver Barrett IV in Love Story.

Il padre di Redmond Barry è invece assente fin dal principio e lo stesso Barry sarà un padre incapace di mantenere autonomamente la propria famiglia, optando per sposare il denaro di Lady Lyndon (Marisa Berenson) e diventando così dipendente da un’altra donna, oltre alla madre. Anche in un film d’azione come Driver, il successo della mascolinità del protagonista dipende da due donne, la Giocatrice (Isabelle Adjani) che gli fornisce l’alibi per sottrarsi alla cattura e l’Intermediario (Ronee Blakley) che gli procura le rapine.