Adattamento dell’omonima pièce di Oscar Wilde, Salomé (Charles Bryant, Alla Nazimova, 1922-23) è l’ultimo film che vede la stretta collaborazione tra Alla Nazimova e la scenografa, costumista e designer Natacha Rambova, dopo La Signora delle Camelie (1921) e Casa di Bambola (1922). Salomé è un film fortemente voluto dalla Nazimova, in quanto legata in maniera particolare ai testi di Wilde. L’intensa fusione tra poesia, letteratura, danza e arti visive porta Salomé ad essere considerato il primo “film d’arte” statunitense.

È certamente così: I dialoghi sono ridotti all’osso e tutte le linee di forza e movimento tendono verso il corpo in perenne movimento (un movimento quasi compulsivo) di Nazimova, unico punto focale su cui il regista Charles Bryant concentra tutta la sua attenzione. In più, si assiste ad una delle più belle prove di set design, trucco, parrucco e costumi firmati da Natacha Rambova: la cuffia intarsiata di perle, i fondali art deco, il copricapo che rimanda alla testa di un pavone e l’abito in lamé fungono da ispirazione per le generazioni successive di costumisti e scenografi.

La magnificenza dell’aspetto visivo di Salomé non basta, però, a rendere il film particolarmente gradito da pubblico e critica. Il motivo per cui Salomé è l’ultimo film prodotto dalla Nazimova Productions è rintracciabile nell’evolversi del linguaggio stesso del cinema, che nel 1922 richiede tempi e dinamiche più rapidi, maggiori cambi di ritmo e certamente una recitazione che si avvicini quanto più possibile alla realtà. Salomé sembra non adattarsi a questa svolta richiesta dall’industria cinematografica vigente: girato in un’unica location (verosimilmente in un teatro di posa), le inquadrature sono fisse, vi sono poche vere interazioni tra gli attori e le didascalie riportano fedelmente i passi dell’opera originale, senza subire un adattamento magari di maggior comprensione per un pubblico medio.

Dal punto di vista registico e narrativo, sembra un film di almeno sei anni prima, quando la matrice teatrale possiede ancora molta rilevanza. La recitazione largamente enfatica di Nazimova tenta di essere bilanciata dalle coreografie e passi di danza ideati ed eseguiti per l’occasione dalla stessa: il problema rimane sempre nell’aspetto della regia che, al contrario, rende il tutto meno godibile rispetto al previsto. Oltre all’aspetto tecnico non proprio perfetto, come si è detto, ciò che fa tremare tanto gli spettatori quanto i censori sono le scene in cui la tensione omoerotica tra i due soldati è più che palpabile: il pesante clima di moralizzazione negli Stati Uniti (che sfocerà poi nel codice Hays) è più che mai vigente e ciò porta a un drastico taglio del metraggio, nonché ad un rapido declino della credibilità artistica di Nazimova, colpevole di aver inscenato, secondo un censore dell’epoca “un sacrilegio, una storia di depravazione e immoralità”.

Nonostante la furia delle forbici della censura e i pessimi risultati al botteghino, nei decenni successivi Salomé viene rivalutato come elemento essenziale per gli studi di genere nei media (nei costumi della Rambova assistiamo ad una fusione tra gli stili, mescolanze, ma soprattutto fluidità) e, innegabilmente, per l’importante contributo a livello visivo.