Nonostante il passare degli anni, Scarface di Brian De Palma continua ad attirare il nostro sguardo come una Medusa contemporanea: a ogni nuova visione ci inchioda davanti al suo esser triste ed eccessivo, ossessivo e melodrammatico, inverosimile e seducente.

L’idea della pellicola nasce - come ha dichiarato Al Pacino qualche anno fa - dal suo colpo di fulmine per l’omonimo capolavoro di Howard Hawks del ‘32 e dalla volontà di dare nuova vita al personaggio di Tony Camonte, interpretato dallo straordinario Paul Muni. La suggestione arriva fino a Sydney Lumet che pensa di trasporre le vicende del gangster ispirato ad Al Capone a quelle dei narcotrafficanti americani degli anni ‘80. Oliver Stone si documenta e scrive una sceneggiatura che non convince Lumet ma entusiasma De Palma. L’italo americano Tony Camonte diventa l’esule cubano Tony Montana: Robert De Niro rifiuta la parte, Al Pacino accetta e chiude il cerchio del suo desiderio.

Il film si apre con la musica elettronica di Giorgio Moroder, che mescola al sintetizzatore note e rumori di spari. Mentre Fidel Castro afferma di non volere chi non ha sangue rivoluzionario, scorrono le immagini di repertorio dell’esodo di Mariel, lo sbarco in Florida di 125000 cubani in fuga. Tutta l’apertura dello Scarface di Brian De Palma del 1983 ci introduce a uno spaccato di storia americana degli anni ‘80, così come quella dello Scarface di Howard Hawks ci introduceva al mondo del proibizionismo degli anni ‘30. 

Di quei 125000 esuli, Tony Montana è uno dei 25000 che entrano negli Stati Uniti con la fedina penale sporca, sfregiato nel corpo e nello spirito dal comunismo e disposto a tutto pur di ottenere una green card e la propria libertà. Dopo aver toccato il fondo dell’abisso nelle carceri cubane, Tony inaugura la sua nuova vita americana e la scalata al successo con un comportamento temerario e violento, che lo fa salire velocemente ai vertici del mondo del narcotraffico. Presto si arricchisce e diventa uno dei signori della droga, rubando status e donna al boss per cui aveva iniziato a lavorare.

Ma in questa veloce ascesa si nascondono i germi di una rovinosa caduta: i soldi riempiono la sua vita di lusso e cocaina ma la svuotano dell’affetto di chi lo circonda. L’amico fraterno Manny, l’amante Elvira e la sorella Gina si allontanano lentamente, mentre l’eccessiva fiducia in se stesso lo porta a un punto di non ritorno. Paradossalmente sarà proprio un momento di umanità - quando si rifiuterà di far esplodere la macchina di un giornalista che viaggia coi figli piccoli - a decretare l’inizio della fine. Nel mondo criminale di Tony - troppo pieno ma completamente vuoto, alla ricerca della bella vita ma segnato dalla morte - questo barlume di etica, questo inaspettato rigurgito di altruismo si rivelerà la firma alla propria condanna.

Al di là della trama avvincente, che si sviluppa con ritmo serrato lungo tutta la durata del film, sono molteplici i fattori che hanno reso indimenticabile questo film. Gli attori hanno sicuramente contribuito alla nascita di quello che è poi divenuto un cult movie. Primo fra tutti Al Pacino che ha lavorato alla costruzione del suo personaggio da un lato immedesimandosi in un emigrato cubano assetato di rivincita e dall’altro rendendolo, come lui stesso ha dichiarato, bidimensionale e non tridimensionale, togliendogli cioè quello spessore che Tony di fatto non possiede e sposando il tono melodrammatico al posto di quello tragico.

Ma accanto a Pacino non si possono dimenticare le prove di Steven Bauer nei panni del fedele amico Manny, di Mary Elizabeth Mastrantonio nella parte della sorella Gina, per cui Tony nutre un affetto al limite dell’incestuoso, e di Michelle Pfeiffer che interpreta Elvira, la donna del boss: difficile dimenticare la sua bellezza nella scena del primo incontro con Tony che la vede apparire dentro un ascensore trasparente, vestita di un esile abito da sera blu.

La fotografia iperrealista di John A. Alonzo (che qualche anno prima aveva lavorato al Chinatown di Polanski) gioca coi colori saturi di abiti, macchine, arredamento (così come Lee Garmes nel film di Hawks giocava con l’uso espressionista del bianco e nero) e dissemina il film con una miriade di particolari di scena di un evocativo rosso sangue. Giorgio Moroder firma la colonna sonora new wave ed elettronica (che verrà poi rimasterizzata nel 2003): ancora oggi le note del suo misterioso e sinuoso Tony’s Theme ci riportano in pochi secondi alle atmosfere del film .

A legare tutti questi elementi troviamo infine la meticolosa regia di De Palma e la studiata sceneggiatura di Oliver Stone (che per scrivere un film sul mondo della droga, dopo essersi documentato sul campo, scappa a Parigi per disintossicarsi dalla sua dipendenza da cocaina). Regista e sceneggiatore danno vita a un connubio che riesce a ricreare sul grande schermo un mondo estremo e iconico, fatto di reiterate volgarità (proverbiali le centinaia dei vari fuck e derivati), di un’estetica kitsch (poi copiata da criminali di mezzo mondo) e di esibita violenza (indimenticabili la scena dell’assassinio con la motosega e quella dell’assalto finale alla villa, grandiosa e operistica).

La frase che chiudeva il film di Hawks è la stessa che chiude anche quello di De Palma: “The world is yours" leggiamo sul mappamondo dorato che si trova nell’atrio della lussuosa villa di Tony. Ma se durante la sua ascesa quel yours si poteva leggere al singolare, preannunciando l’avverarsi del sogno americano, nella caduta a chi si riferisce? Di chi è il mondo? Se alla fine per Hawks il mondo non era più solo del suo villain ma anche dei poliziotti che lo giustiziavano e della società che si doveva fare carico del problema criminalità, per la coppia De Palma - Stone pare non esserci alcuna forma di speranza, giustizia o redenzione.

Il mondo criminale di Tony Montana - che inizialmente prospera sul terreno di uno sfrenato edonismo e liberismo anni ‘80 - alla fine si autodistrugge: i narcotrafficanti, quelli che lui stesso ha tradito, escono nella notte come tanti scarafaggi, salgono i muri e le scale della villa e raggiungono la preda ormai morente per nutrirsene.