CODA significa Child Of Deaf Adult, ovvero “figlio di persona sorda”. Abbiamo già incontrato un aspetto simile in Sound of Metal (Darius Marder, 2020) dove Joe, il gestore di una comunità di recupero per sordi, aiuta il protagonista Ruben (Riz Ahmed) a fare i conti con una condizione a lui del tutto tragica e nuova. L’ottimo Paul Raci, che interpreta un reduce della guerra del Vietnam in cui ha perso parzialmente l’udito, è egli stesso un CODA e la sua capacità di vivere entrambi i mondi pone le basi per affrontare il sé più vulnerabile, mettendo al primo posto il vero e proprio ascolto verso il prossimo e imparando a convivere pacificamente con il silenzio: un lungo percorso di ricerca interiore e di scoperta, che fa funzionare il racconto del dramma di uomo che stenta a comprendere fino all’ultimo che andare avanti, per ricominciare, si può.

In CODA - I segni del cuore di Sian Heder (Premio Oscar per il Miglior Film 2022) il discorso si fa diverso. Appurando il fatto che si tratti del remake dell’europeo La famiglia Bélier (con scene che potrebbero benissimo essere intercambiabili tra i due film, tanto sono identiche) e che sia un racconto con un’intenzione totalmente diversa da Sound of Metal, l’aspetto che lascia maggiormente perplessi è legato allo sviluppo della struttura della storia.

Alcune lacune circoscrivono la credibilità della vicenda (il disagio di Leo e di Jackie Rossi nei pochi attimi di interazione sociale, presentato come un qualcosa che provano per la prima volta, sfiora l’improbabile), altre un non ben chiarissima morale conclusiva: il tutto, poi, si incanala verso la più classica narrazione coming of age adolescenziale all’americana, dove, grazie al solito slogan “se hai talento e lotti contro tutto per realizzare i tuoi sogni, allora ce la fai”, poco importa se fino a pochi giorni prima dell’audizione alla Berklee non si sapeva leggere la musica. Semplicemente, la sensazione è quella di trovarsi di fronte a un prodotto dalle tante potenzialità (e altrettante possibilità di reinventarsi) esauritesi poi sul nascere di una scrittura per nulla innovativa.

È certamente chiaro che CODA abbia una propria rilevanza grazie alla presenza di Troy Kotsur e Marlee Matlin, il primo membro del Deaf West Theatre, la seconda prima attrice sorda ad aver vinto un Oscar per Figli di un Dio minore nel 1986, entrambi dotati di vera forza trainante che riesce a bilanciare una scrittura debole, forza dettata soprattutto dalla potenza dei dialoghi genitore-figlio. È difficile, in fondo, voler male a CODA, tanto è grazioso quanto prevedibile, eppure risulta complesso riconoscerlo come un prodotto dotato di una propria identità e di un qualche marchio indelebile che può essere ricordato nel corso del tempo.