La Berlinale 2023 si è aperta con l’ultimo film di Rebecca Miller, una commedia romantica sospesa fra la screwball comedy e Romeo e Giulietta, che funziona nei suoi meccanismi ma si perde cercando di abbracciare i problemi sociali e generazionali dell’America contemporanea.

La sceneggiatura, firmata sempre dalla regista, vive di due anime: da un lato la storia di Steven (Peter Dinklage), compositore d’Opera in crisi, sposato con la psicologa nevrotica Patricia (Anne Hathaway). Finito in un bar durante una passeggiata col cane, Steven viene travolto dall’amore dell’erotomane Katrina (Marisa Tomei), pilota di una nave attraccata al porto di Brooklyn, e riesce a superare il blocco creativo. Dall’altro l’amore degli adolescenti Julian, figlio di Patricia, e Tereza, figlia di Magdalena (Joanna Kulig), che lavora come colf per la famiglia di Julian.

In queste linee narrative dialogano più mondi: gli adulti con i giovani; l’alta società (la famiglia di Julian, il mondo dell’Opera) con la classe media da cui proviene Tereza. Ma anche la letteratura e il cinema: la Screwball Comedy con Steven inseguito da Katrina come Cary Grant da Katharine in Bringing Up Baby e il recupero del dramma Shakespeariano con le videochiamate di Julian e Tereza al posto del balcone.

Una nota a parte per la musica, ottima nel prendere per mano l’emozione dello spettatore, come la canzone Addicted to Romance, scritta e interpretata da Springsteen apposta per il film. Ma domina soprattutto l’Opera, che duetta con le vicende del film, nutrendosi delle disavventure di Steven. Gli sguardi di Dinklage e i suoi attacchi di panico incarnano perfettamente la comicità di un uomo che non ritiene divertente nulla di quello che gli succede e trasforma continuamente la sua vita sul palco, dove il sesso diventa omicidio, l’amore paura e la commedia tragedia o, meglio, una farsa tragica.

La nevrosi degli adulti non si ferma qui e vive il suo apice nelle crisi mistiche di Anne Hathaway, trovando sprazzi di pace nella tenerezza triste dello sguardo di Joanna Kulig. La commedia comunque risulta godibile non solo grazie al cast d’eccezione, ma anche per la sceneggiatura che scorre precisa, come un meccanismo ben studiato che funziona ed emoziona.

Oltre il romanticismo mancano però spazio e profondità per gli altri temi trattati. Fra il virtuosismo dei brani d’Opera, le trovate drammaturgiche, le crisi di nervi e il frequente, ma non sempre comprensibile, cambio di formato, viene da chiedersi se fosse necessario tirare in ballo il confronto fra classi e i problemi generazionali. Temi importanti, forse non solo per il pubblico americano, che alla fine sembrano più che altro espedienti narrativi, immersi in uno sguardo sull’America contemporanea calato dall’alto.

Così i problemi emergono e spariscono forse troppo rapidamente dietro l’onda travolgente dell’amore adolescenziale che trascina con sé un mondo adulto invecchiato nelle sue nevrosi più che cresciuto. Rimane poco altro dietro un’idea positiva e trascinante dell’amore e un’emozione un po’ stereotipata. Ma forse può bastare se si è addicted to romance