Anna e Adam sono una coppia polacca in vacanza in Sardegna dove hanno preso in affitto una splendida villa sul mare. Quando, una volta arrivati, si rendono conto di un malfunzionamento della piscina, pretendono dal proprietario che venga riparata nonostante abbiano il mare vicinissimo. A sistemarla arriverà un ragazzo di origini arabe; la sua morte per un incidente sul lavoro turberà il precario equilibrio dei due coniugi.

Silent Land è il primo ed incoraggiante lungometraggio della regista polacca Aga Woszczynska. Si tratta di un film glaciale nella forma e nella sostanza, capace di dissolvere persino il calore degli assolati paesaggi sardi. La camera si muove lenta e inesorabile, senza sussulti, fredda come gli sguardi dei due protagonisti e imperturbabile pure di fronte alla morte. È uno sguardo che sembra ridimensionare l’importanza dell’umano, tenendolo a distanza con inquadrature larghe e pochissimi primi piani. La vita di coppia dei due personaggi viene vivisezionata dalla regista, penetrando fin nell’intimo della loro sessualità e rivelandone una freddezza quasi meccanica.

La rappresentazione della Sardegna che emerge dal film sembra il riflesso dell’atteggiamento dei due protagonisti, filtrata dalla loro presuntuosa indifferenza. La regista evidenzia in diverse occasioni come il territorio non viva un momento felice, ma la carenza idrica e il viavai di militari per le strade, forse richiamo alla guerra in Ucraina, non disturbano il soggiorno dei due turisti che, anzi, pretendono il lusso della piscina. 

Con uno stile probabilmente ispirato a quello di Ruben Ostlund (si notano soprattutto le grandi somiglianze con Force Majeure) Aga Woszczynska cerca di raccontare il cinismo e il classismo di una borghesia sempre più distante sia dal mondo reale che dalla sua stessa umanità. Un’umanità sommersa, inabissata dove la macchina da presa non può arrivare e dove anche Adam non ha il coraggio di andare quando, durante le lezioni di sub, emerge dall’acqua in preda ad un attacco di panico.

In generale l’uso del fuori campo è un elemento costante nel film, fin dalla prima scena in cui Anna sembra scomparire dentro un armadio. È una scelta registica che sembra sottolineare ancora di più quel distacco tra ciò su cui i protagonisti si concentrano e il mondo che gli sta attorno e che si rifiutano di guardare. L'idea che suggerisce rimanda al voltarsi da un’altra parte, alla colpa di non agire di fronte al bisogno dell’altro. I suoni che giungono dall’esterno, come il martello pneumatico o i rumori notturni appaiono solo come una fonte di disturbo, qualcosa che non intacca mai davvero l’interesse dei personaggi se non in negativo.

Silent Land si può leggere come una metafora, a tratti abbastanza didascalica soprattutto nel finale, del momento storico che stiamo vivendo di cui si sentono gli echi in ogni momento. Anche la scelta di girare il film in Italia non è un caso, infatti dalla tragedia silenziosa che si consuma nella piscina risuona l’orrore delle morti in mare che il nostro paese e l’Europa intera hanno scelto di non guardare.

I due protagonisti avrebbero potuto salvare l’operaio, ma in quell’istante hanno deciso di non agire, come bloccati da un’istanza superiore. Un’istanza che probabilmente richiama anche l’ondata conservatrice che da diversi anni ha investito la Polonia, Paese della regista. È il razzismo che come un’onda ha travolto in maniera preoccupante tutta l’Europa, accompagnato da un serpeggiante e sempre più pervasivo odio verso i poveri.

Il film di Aga Woszczynska è un attacco diretto, critico, spietato allo zeitgeist del nostro tempo, una riflessione pessimista, forse si potrebbe dire persino nichilista, sullo stato di salute della nostra umanità il cui ultimo barlume sembra essere il patetico senso di colpa di Adam a seguito dell’incidente. Quello che resta sono solo i fantasmi che progressivamente si accumulano sulla nostra coscienza.