In quanti ignoravano l’esistenza di un attore del calibro di Eddie Marsan prima di vedere Still Life? Lode a Uberto Pasolini per aver valorizzato un caratterista di questa grandezza, donandogli quello che – probabilmente – sarà il suo ruolo della vita. Su Still Life, proiettato in Piazza Maggiore a Bologna il 26 luglio ore 22 alla presenza del regista, ecco alcune riflessioni.
Produttore di successo (era suo Full Monty) questo nipote di Luchino Visconti trasferitosi a Londra sceglie per Still Life uno stile di classica semplicità: inquadrature fisse che spesso ‘rimpiccioliscono’ il protagonista riprendendolo leggermente dall’alto, essenzialità narrativa in sintonia con un’economia di mezzi espressivi efficace e funzionale, un ritmo pacato (che è molto diverso da lento) e calmo che in questi tempi concitati ha l’effetto di una boccata d’aria fresca e rigenerante. Praticamente sempre in scena, lo straordinario Eddie Marsan riesce a trasmettere allo spettatore il peso ma anche i doveri di tutta una vita con una recitazione contenuta e controllatissima, fatta di sguardi muti e dialoghi essenziali, che inquadrature spesso frontali sottolineano con sorprendente efficacia. Arrivando a volte a dare l’impressione che i suoi occhi interroghino direttamente lo spettatore. Tutto questo prende poi ulteriore forza perché l’universo in cui si muove May è quello di un mondo oggi tragicamente diffuso, fatto di persone svantaggiate e sole, la cui unica compagnia è spesso quella della bottiglia. May porta lo spettatore dentro le loro case, tutte uguali nel loro squallore fatto di locali anonimi, con calze e mutande stese ad asciugare, puzza di stantio e disordine diffuso, dove l’unico rapporto con gli altri è l’indifferenza. E ci mostra come spesso l’uomo sia il peggior nemico di se stesso. A meno che il destino non decida di giocare qualche strano tiro.
(Paolo Mereghetti)
Rimasi colpito dal pensiero di tante tombe solitarie e di tante funzioni funebri deserte. È un’immagine molto forte. Mi sono messo a riflettere sulla solitudine e sulla morte e sul significato dell’appartenenza a una comunità e di come la consuetudine del buon vicinato sia ormai scomparsa per molti di noi. Come è possibile che tante persone siano dimenticate e muoiano sole? La qualità della nostra società si giudica dal valore che assegna ai suoi membri più deboli e chi è più debole di un morto? Sono profondamente convinto che il riconoscimento della vita passata di ciascun individuo sia fondamentale per una società che voglia definirsi civile. Con Still Life sapevo di voler realizzare un film statico, proprio come allude il titolo. I miei riferimenti visivi sono stati i film di Ozu, con le loro immagini di vita quotidiana di grande quiete e al tempo stesso di immensa potenza. La maestria e l’umanità di Eddie hanno portato verità nelle azioni e nei piccoli cambiamenti che segnano la vita di John May.
(Uberto Pasolini)
È un affascinante e splendido studio sulla mortalità, sulla solitudine e sull’importanza di condividere la propria vita. La sceneggiatura di Uberto è estremamente profonda e toccante. Si fonda con grande sincerità sui temi della vita e della morte, della famiglia e della comunità. È scritta davvero con il cuore ed è questo che la rende unica. Ed è la ragione per cui ho voluto rappresentarla. John May non è solo. È un tipo alquanto singolare, non esprime molte emozioni, quindi era essenziale che io mostrassi i suoi pensieri. È un individuo molto introverso e non è facile interpretarlo perché devi capire che cosa prova e poi non esprimerlo. Ma è questo che lo rende un bel personaggio: è complesso e vero, più di uno che parla con il cuore in mano.
(Eddie Marsan)